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Articolo 2077 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale

Dispositivo dell'art. 2077 Codice Civile

I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.

Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro [1339, 1419, 2066](1).

Note

(1) In virtù del disposto di cui al secondo comma, al lavoratore sarà applicata la disciplina di maggior favore, che risulterà da una comparazione tra il contratto collettivo ed il contratto individuale.

Ratio Legis

Nei rapporti giuridici di durata, quale il rapporto di lavoro, alle parti è consentito modificare in senso peggiorativo, con il limite della ragionevolezza ed esclusa la ripetizione delle somme già corrisposte, la pregressa retribuzione anche con riferimento a periodi già trascorsi.

Massime relative all'art. 2077 Codice Civile

Cass. civ. n. 9789/2020

La clausola del contratto individuale con cui è fissata una durata del patto di prova maggiore di quella stabilita dalla contrattazione collettiva di settore deve ritenersi più sfavorevole per il lavoratore e, come tale, è sostituita di diritto ex art. 2077, comma 2, c.c. salvo che il prolungamento si risolva in concreto in una posizione di favore per il lavoratore (ad esempio per la particolare complessità delle mansioni), con onere probatorio gravante sul datore di lavoro, poiché è colui che si avvantaggia del tempo più lungo della prova godendo di più ampia facoltà di licenziamento per mancato superamento della stessa.

Cass. civ. n. 16043/2018

Le disposizioni del contratto collettivo non si incorporano nel contratto individuale, ma operano sul singolo rapporto come fonte esterna, con la conseguenza che, in caso di successione di contratti collettivi, si realizza una immediata sostituzione delle nuove clausole e le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole al lavoratore, salva diversa determinazione delle parti contraenti in ordine alla disciplina intertemporale.

Cass. civ. n. 2600/2018

Il principio di libertà della forma si applica anche all'accordo o al contratto collettivo di lavoro di diritto comune, che pertanto - a meno di eventuale diversa pattuizione scritta precedentemente raggiunta ai sensi dell'art. 1352 c.c. dalle medesime parti stipulanti - ben possono realizzarsi anche verbalmente o per fatti concludenti; la libertà della forma dell'accordo o del contratto collettivo di lavoro concerne anche i negozi ad esso connessi, come il recesso unilaterale ex art. 1373, comma 2, c.c.

Cass. civ. n. 4231/2016

In caso di mutamento di settore produttivo ad opera del datore di lavoro, con conseguente adesione ad un diverso contratto collettivo, in assenza di rinegoziazione non è possibile una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali che determini una riduzione del trattamento retributivo per i rapporti lavorativi già in essere perché, ai sensi dell'art. 2077 c.c., l'accordo collettivo prevale solo se dall'accordo individuale derivino condizioni meno favorevoli per il lavoratore.

Cass. civ. n. 1843/2016

Il trattamento economico complessivamente più favorevole previsto da un contratto aziendale ha una portata sostitutiva rispetto al trattamento deteriore di cui al contratto collettivo nazionale, sicché va escluso il diritto ad una applicazione cumulativa dei benefici rispettivamente previsti. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva accertato, a mezzo c.t.u. contabile, l'assorbimento nella più elevata maggiorazione prevista per il lavoro turnario della mancata incidenza della stessa su alcuni istituti di retribuzione indiretta).

Cass. civ. n. 13960/2014

Nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni "in peius" per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale.

Cass. civ. n. 6044/2012

I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato. (Nella specie, la S.C., affermando il principio, ha ritenuto applicabile l'accordo aziendale ad un lavoratore che, senza essere iscritto all'organizzazione stipulante, non risultava tuttavia affiliato ad un sindacato dissenziente e aveva anzi invocato l'accordo medesimo a fondamento delle sue istanze).

Cass. civ. n. 5552/2011

In tema di determinazione del trattamento retributivo spettante al lavoratore subordinato, una volta accertata in giudizio l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in contrasto con la qualificazione del rapporto come autonoma operata dalle parti, trova applicazione - salvo che per le indennità di fine rapporto che maturano al momento della cessazione del rapporto medesimo - il principio dell'assorbimento, per cui ove il trattamento economico complessivamente erogato in concreto dal datore di lavoro risulti superiore a quello minimo dipendente dalla qualificazione del rapporto, non debbono essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai compensi periodicamente corrisposti, dovendosi, peraltro, escludere che il lavoratore sia tenuto, sulla mera richiesta del datore di lavoro, a restituire tale eccedenza, atteso che i contratti collettivi stabiliscono le retribuzioni minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che ciò impedisca al datore di lavoro di erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse semplicemente offerte al lavoratore o determinate da una contrattazione ovvero conseguenti alla diversa e inesatta qualificazione del rapporto tra le parti, la quale può essere frutto di un errore delle parti ma anche della volontà di usufruire di una normativa specifica ovvero di eluderla. Ne consegue che il datore di lavoro, ove chieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva, ha l'onere di dimostrare che la maggior retribuzione è stata determinata da un errore essenziale avente i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c..

Cass. civ. n. 5882/2010

L'uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del datore di lavoro, agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, sostituendo alle clausole contrattuali e a quelle collettive in vigore quelle più favorevoli dell'uso aziendale, a norma dell'art. 2077, secondo comma, c.c. Ne consegue che il diritto riconosciuto dall'uso aziendale non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di azienda, posto che operando come una contrattazione integrativa aziendale subisce la stessa sorte dei contratti collettivi applicati dal precedente datore di lavoro e non è più applicabile presso la società cessionaria dotata di propria contrattazione integrativa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva riconosciuto ai dipendenti di una banca incorporata in altro istituto di credito il diritto al superminimo, erogato dalla società incorporata da lungo tempo, ritenendo erroneamente che tale condotta avesse determinato l'esistenza di un uso aziendale e l'inserimento del diritto nel contratto individuale di lavoro).

Cass. civ. n. 14914/2009

In tema di contratti collettivi di diverso livello, le integrazioni del contratto collettivo nazionale effettuate tramite contratti collettivi integrativi possono differenziarsi per singoli specifici settori, ciascuno disciplinato dal corrispondente contratto integrativo. Ne consegue che la recezione da parte del datore di lavoro del contratto nazionale comprende anche il contratto integrativo corrispondente allo specifico settore o quella determinata disciplina posta all'interno dell'unico contratto integrativo, con conseguente vincolatività soltanto per le parti stipulanti che operano in tale settore o in ragione dell'intervento nella regolazione della specifica materia di singoli corrispondenti organismi sindacali. (Nella specie la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha cassato la sentenza impugnata che aveva applicato in favore dei dipendenti di una impresa di ristorazione, soggetta a contratto collettivo nazionale del settore pubblici esercizi, il trattamento integrativo salariale previsto da un accordo territoriale, nonostante non fosse stato stipulato dall'organizzazione sindacale dello specifico settore della ristorazione, come invece imposto dallo stesso contratto nazionale).

Cass. civ. n. 17310/2008

Nei rapporti giuridici di durata, quale il rapporto di lavoro, non è interdetto al legislatore e alle parti stipulanti i contratti collettivi di modificare, in peius la posizione di una delle parti, anche mediante la modifica di un sistema di calcolo della retribuzione o del trattamento di quiescenza, con riguardo ad un periodo già trascorso, salvo il limite della ragionevolezza ed escluso il diritto di ripetere somme già corrisposte. (Nella specie, la contrattazione collettiva aziendale, relativa alla Banca Antoniana Veneta, aveva escluso l'attribuzione di un premio di produttività già previsto dalla contrattazione collettiva nazionale; la S.C., nell'affermare il principio su esteso, ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che la contrattazione collettiva avesse demandato agli accordi aziendali la sola determinazione del quantum del premio di produttività e non anche l'attribuzione dell'emolumento).

Cass. civ. n. 21234/2007

Nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, per cui le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti quesiti, il lavoratore stesso non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente e ciò in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nel caso di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale. (Nella specie è stata confermata la sentenza di merito che aveva negato al lavoratore, il quale aveva rifiutato l'iscrizione al Fondo di previdenza complementare rinegoziato in base ad accordo collettivo, il diritto a beneficiare dei versamenti da parte del proprio datore di lavoro a titolo di contribuzione al Fondo stesso, giacché siffatto obbligo, contemplato dalle preesistenti regole del Fondo, era venuto meno in forza dell'accordo collettivo di rinegoziazione).

Cass. civ. n. 15039/2007

Il contratto individuale di lavoro stipulato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni deve conformarsi al contratto collettivo il quale, a sua volta, demanda al contratto collettivo integrativo di ente l'attuazione delle sue disposizioni; ne consegue che l'adeguamento del contratto individuale a quello collettivo implica, senza necessità di specifici richiami, l'adeguamento anche al contratto collettivo integrativo, che rappresenta un modo per conformare il patto individuale alle regole collettive nazionali. Pertanto, ove sussista un obbligo (previsto dal contratto collettivo) sulla cui portata non sorgono incertezze, e tale obbligo venga adempiuto, non vi è ragione di invocare i principi di buona fede e di correttezza che non operano come fonti autonome ed ulteriori di diritti se non nei limiti della previsione contrattuale (nella specie, alcuni lavoratori avevano convenuto in giudizio l'INPS, nella sua qualità di datore di lavori, assumendo di aver diritto, in quanto esterni vincitori di un concorso, a vedersi riconosciuta la diversa qualifica professionale indicata nel bando e poi abolita dal contratto collettivo integrativo stipulato successivamente alla pubblicazione del bando medesimo. La S.C., nel rigettare il ricorso contro la sentenza che aveva respinto la domanda dei lavoratori, ha evidenziato che dal testo del contratto collettivo non risultava in alcun modo sostenibile la tesi di una non applicabilità del medesimo ai dipendenti provenienti dal pubblico concorso, tanto più che gli stessi avevano stipulato un contratto individuale nel quale si faceva riferimento all'inquadramento di cui al menzionato contratto collettivo successivo, sicché non potevano essere invocati i principi di correttezza e buona fede al di fuori del testo contrattuale).

Cass. civ. n. 21302/2005

L'applicazione spontanea, costante ed uniforme, di molteplici clausole del contratto collettivo da parte dell'imprenditore non iscritto al sindacato stipulante, significa implicita adesione al contratto stesso non nella sua globalità, dovendo escludersi che il contratto possa spiegare efficacia vincolante nei confronti di detto imprenditore anche quanto alle clausole da lui contestate, salvo che queste siano legate da un nesso di inscindibilità con le clausole fatto oggetto di accettazione implicita.

Cass. civ. n. 11939/2004

Alle parti sociali è consentito, in virtù del principio generale dell'autonomia negoziale di cui all'art. 1322 c.c., prorogare l'efficacia dei contratti collettivi, modificare, anche in senso peggiorativo, i pregressi inquadramenti e le pregresse retribuzioni — fermi restando i diritti quesiti dei lavoratori sulla base della precedente contrattazione collettiva —, nonché disporre in ordine alla prevalenza da attribuire, nella disciplina dei rapporti di lavoro, ad una clausola del contratto collettivo nazionale o del contratto aziendale, con possibile concorrenza delle due discipline. La concorrenza delle due discipline, nazionale e aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall'art. 2077 c.c., va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia connessi alla natura dei contratti stipulati, atteso che il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti di tutti gli iscritti, nell'ambito del territorio nazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contratto collettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l'attività lavorativa nell'ambito dell'azienda. I lavoratori ai quali si applicano i contratti collettivi aziendali possono, pertanto, giovarsi delle clausole dei contratti collettivi nazionali se risultano iscritti alle organizzazioni sindacali che hanno stipulato i relativi contratti collettivi. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che il compenso previsto dall'art. 25 del Ccnl 2 luglio 1992 per gli addetti all'industria delle materie plastiche, competesse ai lavoratori non risultando, dal contenuto degli accordi aziendali, che tale compenso fosse stato inglobato nella voce retributiva denominata «accordo» aziendale prevista dal contratto collettivo aziendale, e che ai medesimi lavoratori competesse altresì il compenso del 5 per cento dei minimi tabellari, previsto dal Ccnl solo per aziende con meno di 150 dipendenti e per lavoratori che non fruissero di premi di cottimo, ricorrendo, nel caso di specie, entrambi i cennati requisiti).

Cass. civ. n. 11634/2004

Ai contratti collettivi non è consentito, in forza del principio della intangibilità dei diritti quesiti, di incidere su diritti soggettivi, che siano già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi.

Il contratto collettivo di diritto comune può avere non solo una funzione normativa — in quanto volto a conformare il contenuto dei contratti individuali di lavoro —, ovvero una funzione obbligatoria — quale si esprime nella instaurazione di rapporti obbligatori destinati a vincolare soltanto le parti stipulanti lo stesso contratto collettivo (organizzazioni sindacali dei lavoratori, da un lato, e, dall'altro, organizzazioni dei datori di lavoro o, nel caso di contratto aziendale, lo stesso datore di lavoro), ma anche una funzione gestionale, diretta essenzialmente alla composizione di conflitti (di diritti odi interessi) in forma di transazione o di accertamento, che spiega la propria efficacia diretta nei confronti delle parti stipulanti — anche se, indirettamente, può incidere anche su singoli lavoratori — e non è soggetta ai limiti, circa l'efficacia erga omnes stabiliti costituzionalmente per i contratti collettivi. L'interpretazione in ordine alla funzione del contratto e alla sua efficacia soggettiva, oltre che al loro contenuto, è accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, e, in quanto tale, può essere censurata, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale oppure per vizio di motivazione, con l'onere tuttavia, per il ricorrente, di indicare specificamente il punto e il modo in cui l'interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente o logicamente contraddittoria, non potendo medesimo ricorrente limitare a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative, o comunque diverse, rispetto a quelle proposte dal giudice di merito. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento ad un accordo collettivo per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato che aveva deliberato l'effettuazione dei trasferimenti dei lavoratori interessati e che fossero utilmente collocati in graduatoria con una anticipazione temporale rispetto a quella stabilita da un precedente accordo, aveva riconosciuto il diritto del lavoratore, utilmente collocato in graduatoria, al trasferimento, ritenendo che lo scaglionamento previsto dal precedente contratto costituisse solo una modalità attuativa del trasferimento e non un elemento della fattispecie costitutiva del diritto).

Cass. civ. n. 2362/2004

Con l'adesione al sindacato il lavoratore non attribuisce la piena disponibilità di posizioni individuali alle organizzazioni sindacali, le quali pertanto non possono dismettere diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi. Ne consegue che, in relazione al periodo precedente il provvedimento di ammissione alla cassa integrazione, le organizzazioni sindacali e il datore di lavoro non possono stipulare accordi aventi ad oggetto la sospensione dell'obbligo dei lavoratori di effettuare la prestazione lavorativa e la perdita del diritto dei lavoratori alla retribuzione, in quanto detti accordi vengono ad incidere su diritti soggettivi di cui i lavoratori sono divenuti titolari sulla base dei singoli contratti individuali. Per l'efficacia di tali accordi è pertanto necessario che da parte dei lavoratori venga rilasciato, anche per fatti concludenti, un preventivo e specifico mandato, o che l'accordo venga poi ratificato dagli stessi lavoratori in modo inequivocabile, giacché il principio della libertà di forma nell'esercizio dell'autonomia negoziale e collettiva consente che l'adesione ad un accordo sindacale si manifesti o con negozi attuativi o attraverso condotte volte a dimostrare con certezza la volontà di ratificare detto accordo.

Cass. civ. n. 7037/2003

La semplice appartenenza di un lavoratore ad una rappresentanza sindacale aziendale avente composizione collettiva o collegiale non può comportare di per sè l'efficacia nei suoi confronti delle clausole degli accordi collettivi che siano state stipulate dalla medesima rappresentanza sindacale in deroga al principio della non disponibilità, mediante contratto collettivo, dei diritti già maturati ed entrati a far parte del patrimonio dei singoli lavoratori, se manca la prova della effettiva sottoscrizione dell'accordo da parte del lavoratore o di altre circostanze indicative di un suo specifico mandato o della sua personale adesione all'accordo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto efficace nei confronti del lavoratore un accordo collettivo contenente disposizione di diritti già entrati nel suo patrimonio, attribuendo rilievo alla circostanza che l'accordo era stato stipulato dalla rappresentanza sindacale aziendale della quale il lavoratore era componente, senza considerare che il singolo componente di un organo collettivo o collegiale può essere assente o dissenziente nelle varie occasioni in cui agisce l'organo stesso).

Cass. civ. n. 9764/2002

Ove un contratto collettivo aziendale stipulato dal sindacato per la tutela degli interessi collettivi dei lavoratori dell'azienda venga successivamente modificato o integrato da un nuovo accordo aziendale stipulato dallo stesso sindacato, tutti i lavoratori che abbiano fatto adesione all'originario accordo, ancorché non più iscritti al sindacato, sono vincolati dall'accordo successivo e non possono invocare soltanto l'applicazione del primo.

Cass. civ. n. 8296/2001

I contratti collettivi aziendali hanno natura ed efficacia di contratti collettivi, sicché, non applicandosi ad essi la disciplina dell'art. 2077 c.c., che regola soltanto i rapporti fra contratto collettivo e contratto individuale, la nuova disciplina contenuta in un contratto collettivo aziendale può modificare in senso peggiorativo quella precedente contenuta in un contratto nazionale. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di seconde cure che, in riforma della sentenza pretorile, aveva rigettato la domanda dei ricorrenti, dipendenti della Azienda municipale igiene ambientale torinese — A.M.I.A.T. — in qualità di autisti di mezzi speciali, diretta ad ottenere un trattamento economico differenziato migliorativo rispetto agli autisti «normali», trattamento differenziato già goduto ai sensi del C.C.N.L., poi modificato sul punto da accordi aziendali che avevano innalzato l'inquadramento degli altri autisti).

Cass. civ. n. 10349/2000

Nel caso in cui con un accordo collettivo aziendale sia concordata l'applicabilità della contrattazione collettiva relativa ad un determinato settore produttivo, il rapporto tra tale pattuizione e la clausola del contratto di lavoro individuale con cui sia fatto riferimento ad una diversa contrattazione collettiva è regolato dall'art. 2077, secondo comma, c.c., e quindi prevale l'accordo collettivo, se dall'accordo individuale derivano condizioni meno favorevoli per il lavoratore, e non è invece rilevante la disciplina in materia di rinunce e transazioni di cui all'art. 2113 c.c. — con il relativo onere per il lavoratore di impugnazione entro un termine di decadenza dell'atto abdicativo dei suoi diritti — poiché, oggetto di rinuncia possono essere solo situazioni non solo future ma anche eventuali e indeterminate.

Cass. civ. n. 10213/2000

I contratti collettivi postcorporativi di lavoro, che non siano stati dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della L. 14 luglio 1959, n. 741, costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti fra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto. Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, non efficace erga omnes, in base al rilievo che a tale contratto entrambe le parti si erano sempre ispirate per la disciplina del loro rapporto, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata. (Alla stregua del principio di cui in massima, la Suprema Corte ha cassato la decisione dei giudici di merito, i quali, senza compiere i necessari accertamenti, avevano dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoro avverso il lodo pronunciato dal collegio di conciliazione ed arbitrato costituito a norma dell'art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 — con il quale, in sostituzione del licenziamento intimato ad un lavoratore, era stata a quest'ultimo irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione —, ricorso proposto sul rilievo che la materia del licenziamento disciplinare è esclusa dalla composizione arbitrale dall'art. 43, ultimo comma, del contratto collettivo nazionale di lavoro delle aziende alimentari, applicabile, secondo il ricorrente, al rapporto di lavoro in questione. La sentenza impugnata aveva escluso, senza compiere una adeguata valutazione del materiale probatorio acquisito al giudizio — che il ricorrente avesse fornito la prova della concreta applicazione della disciplina delle industrie alimentari).

Cass. civ. n. 5625/2000

Nell'ambito di un contratto collettivo è possibile distinguere la parte economica, concernente il trattamento retributivo dei lavoratori, e la parte normativa, che può contenere anche clausole destinate non già a disciplinare direttamente il rapporto di lavoro, bensì a regolare i rapporti tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipulazione dei contratti medesimi; talché queste ultime clausole creano obblighi e diritti per le parti stipulanti e non già per i singoli lavoratori. (Fattispecie relativa al contratto collettivo del 1988 per i dipendenti di aziende municipalizzate che prevedeva che le parti stipulanti avrebbero provveduto ad istituire un fondo di integrazione dei trattamenti pensionistici di tipo diverso da quello esistente).

Cass. civ. n. 1576/2000

Nell'ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva escluso che la scelta del contratto aziendale «autonomo» del 30 marzo 1988 di agganciare le retribuzioni dei funzionari dell'Ipacri a quelle previste per i bancari delle Casse di risparmio non fosse successivamente modificabile).

Cass. civ. n. 4570/1996

Non esiste un diritto soggettivo del lavoratore subordinato alla parità di trattamento, essendo, al contrario, legislativamente prevista come possibile una situazione di disparità di trattamento dall'art. 2077, secondo comma, c.c., il quale, nell'imporre la sostituzione con le norme collettive delle clausole difformi contenute nei contratti individuali salvo che tali clausole siano più favorevoli al lavoratore, prevede di fatto un allineamento dei contratti individuali di lavoro alla disciplina collettiva non in tutti i casi, ma solo in quelli in cui il contratto individuale di lavoro contenga disposizioni meno favorevoli per il lavoratore. Con riferimento alle disparità di trattamento che si verificano, ad opera del datore di lavoro, nel corso del rapporto, l'attribuzione ingiustificata ad un lavoratore di un determinato beneficio non può costituire titolo per attribuire al lavoratore che si trovi nell'identica posizione un diritto ad ottenere lo stesso beneficio, né può determinare l'insorgenza di un danno risarcibile, poiché questo, postulando la lesione di un diritto, non è configurabile laddove esso non sussiste; né il suddetto diritto può derivare dalla violazione del criterio di ragionevolezza, atteso che le clausole generali di correttezza e buona fede, che costituiscono il tramite per un controllo di ragionevolezza sugli atti di autonomia negoziale, possono operare solo all'interno del rapporto — consentendo al giudice di accertare che l'adempimento di un obbligo, contrattualmente assunto o legislativamente imposto, avvenga avendo come punto di riferimento i valori espressi nel rapporto medesimo e nella contrattazione collettiva — e non possono essere quindi utilizzate in relazione a comportamenti esterni, e cioè adottati dal datore di lavoro nell'ambito di rapporti di lavoro diversi. Infine non è configurabile alcun comportamento discriminatorio del datore di lavoro qualora esso, pur determinando una disparità di trattamento fra i lavoratori, costituisca corretto adempimento di una norma collettiva, che, in forza dell'art. 2077, secondo comma, c.c., sia entrata a far parte del rapporto individuale di lavoro dei soggetti beneficiati e che, in quanto atto di esercizio dell'autonomia collettiva, si sottrae ad ogni potere correttivo in sede di controllo giudiziario.

Cass. civ. n. 6150/1990

Il nostro ordinamento giuridico — secondo i principi desumibili dalla Costituzione (art. 39), dallo Statuto dei lavoratori e dalle norme sul processo del lavoro — riconosce alle organizzazioni sindacali la funzione di stipulare contratti collettivi, di sostenere le rivendicazioni dei lavoratori, di assisterli nelle conciliazioni e nelle controversie di lavoro e di svolgere opera di promozione dei medesimi, ma non attribuisce alle stesse organizzazioni — salvi uno specifico mandato ad hoc o la successiva acquiescenza o ratifica del lavoratore — alcun potere di rappresentanza in ordine a diritti ed atti di disposizione di diritti soggettivi acquisiti, essendo irrilevante che questi derivino da un precedente contratto collettivo, ove la relativa modifica peggiorata intervenga prima della scadenza, e perciò nel vigore, di tale contratto. (Nella specie, la Suprema Corte, alla stregua del principio suesposto, ha censurato l'impugnata sentenza, la quale aveva ritenuto l'operatività dell'accordo sindacale del 13 luglio 1978, sui diritti dai lavoratori maturati, in materia di computo degli scatti di anzianità, in virtù del contratto collettivo del 1974).

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