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Articolo 143 bis Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Cognome della moglie

Dispositivo dell'art. 143 bis Codice Civile

La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito(1) e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze [156 bis, 328].

Note

(1) In aderenza al principio di parità tra marito e moglie, è consentito alla donna - limitatamente ai rapporti professionali - derogare a tale dovere, mantenendo solo il proprio cognome da nubile.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 143 bis Codice Civile

Cass. civ. n. 654/2022

In tema di divorzio, la deroga alla perdita del cognome maritale è discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell'interesse meritevole di tutela per l'ex coniuge o per la prole, come si desume dalla disciplina dettato dall'art. 5, comma 3, della legge n 898 del 1970 in tema di divorzio. L'aggiunta del cognome maritale, ai sensi l'art. 143-bis cod. civ., deve ritenersi, infatti, un effetto del matrimonio circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio. Ciò in quanto la possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, non può coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica, ma deve essere giustificata da esigenze eccezionali, quale l'interesse dei figli.(Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che non sussiste l'interesse dell'ex coniuge a conservare il cognome del marito sulla base del semplice fatto che detto cognome fosse divenuto parte integrante dell'identità personale sociale e di vita di relazione della ricorrente).

In tema di divorzio, l'autorizzazione alla donna di conservare il cognome del marito accanto al proprio costituisce una eventualità straordinaria, affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito, da compiersi secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale, che non possono coincidere con il solo desiderio di conservare, quale tratto identitario, il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa, non potendo neppure escludersi che il perdurante uso del cognome del marito possa costituire un pregiudizio per quest'ultimo, ove intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale, un nuovo nucleo familiare riconoscibile socialmente e giuridicamente come legame attuale.

Cass. civ. n. 3454/2020

La valutazione della ricorrenza delle circostanze eccezionali che consentono l'autorizzazione all'utilizzo del cognome del marito è rimessa al Giudice del merito, giacché, di regola, non è ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il giudice del merito, con provvedimento motivato e nell'esercizio di poteri discrezionali, non disponga diversamente.

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Consulenze legali
relative all'articolo 143 bis Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

S. T. K. S. chiede
martedì 15/11/2022 - Estero
“Buona Notte.
Ho acquisito cittadinanza italiana di sangue (il mio trisnonno è emigrato in Brasile) all'inizio del mese. Nel fare i miei documenti italiani al consolato, mi hanno informato che potevano contenere solo il mio cognome da nubile e non il mio cognome da sposata (come appare in tutti gli altri miei documenti brasiliani, ai master, sull'atto di nascita della mia figlia). Contattando il comune responsabile, è stato detto che è possibile inserire il cognome di mio marito sui documenti, ma che si tratta di un processo lungo.
Ecco perché vengo a chiedere:
- Sono nata nel 1985, sposata nel 2010. Ho ricevuto la cittadinanza italiana nel 2022. Posso apporre il cognome di mio marito (come appare in molti altri documenti) sui miei documenti italiani (cioè patente, passaporto, documenti di mia figlia, ecc.?). Dal 2010 non uso più il mio cognome da nubile e non lo firmo più.
Se questo è possibile, potrebbe fornirmi un valore stimato per i servizi forniti e un tempo stimato per l'esecuzione del processo?”
Consulenza legale i 21/11/2022
In risposta alla sua domanda, confermiamo che, dopo l’acquisto della cittadinanza italiana è possibile aggiungere, all’interno dei suoi documenti personali, oltre al suo cognome anche quello di suo marito.
Per far ciò dovrà presentare un’istanza al Prefetto competente che è quello della Provincia del luogo in cui lei risiede.
All’istanza dovrà essere apposta una marca da bollo da 16 euro e dovrà essere corredata da idonea documentazione che provi l’uso protratto nel tempo, come da lei riferito, del cognome di suo marito perso a seguito del conferimento della cittadinanza italiana. Ad esempio, potranno essere allegati copia del certificato di matrimonio, fotocopie della precedente carta di identità, della patente, del Codice Fiscale, di bollette o di ogni altro documento ritenuto utile dal quale risulti l’uso del cognome di suo marito.
È importante precisare che tale istanza potrà essere inoltrata solo dopo che abbia prestato il giuramento ed aver chiesto ed ottenuto la trascrizione dell’atto di nascita al Comune di residenza.
Quanto ai costi stimati, non vi sono ulteriori spese se non i 16 euro previsti per la marca da bollo mentre per quanto riguarda le tempistiche, non è possibile indicare in modo certo quanto durerà la procedura, perché dipenderà da tante varianti quali, ad esempio, l’eventuale richiesta di integrazioni documentali.

Concetta G. chiede
sabato 25/04/2015 - Lazio
“Buongiorno,
desidero porre alla vostra attenzione quanto segue:
in data 25/2/2014 ho presentato alla Prefettura di ... 2 istanze
1) cambiamento di nome da Concetta a Cettina
2) aggiunta al mio cognome di nascita quello di mio marito

In data 15/5/2014 è stata emessa, con decreto prefettizio, l'autorizzazione a far affiggere all'Albo pretorio del Comune di ... ed in quello di ... (mio paese di nascita).
Nel mese di agosto ho consegnato alla Prefettura l'attestazione dell'avvenuta pubblicazione.
Da allora non ho più saputo nulla: l'addetta alla mia pratica mi ha comunicato verbalmente che avevano posto un quesito al Ministero e che stavano aspettando la risposta per emettere il decreto definitivo.
Secondo voi era illegittima la mia richiesta? Cosa posso fare per accelerare questo decreto? Perché hanno dovuto chiedere al Ministero?
Per tutta la pratica ho seguito la corretta procedura.
Eventualmente mi potete aiutare?
Grazie e saluti”
Consulenza legale i 28/04/2015
Nel caso in esame, sembra che siano state seguite correttamente tutte le procedure previste dalla legge.

Difatti, gli artt. 89 e seguenti del DPR 3.11.2000, n. 396 prescrivono che qualunque cittadino che voglia cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome, ovvero voglia cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale, o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta.

L'art. 90 stabilisce che il prefetto, assunte informazioni sulla domanda, se la ritiene meritevole di essere presa in considerazione, autorizza con suo decreto il richiedente a fare affiggere all'albo pretorio del comune di nascita e di attuale residenza del medesime richiedente un avviso contenente il sunto della domanda. L'affissione deve avere la durata di giorni trenta consecutivi e deve risultare dalla relazione fatta dal responsabile in calce all'avviso.

Trascorso il termine per eventuali opposizioni, il richiedente presenta al prefetto un esemplare dell'avviso con la relazione attestante l'eseguita affissione e la sua durata nonché la documentazione comprovante le avvenute notificazioni, ove prescritte.
Infine, il prefetto, accertata la regolarità delle affissioni e delle notificazioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvede sulla domanda con decreto.

Prima della riforma operata con D.P.R. 13 marzo 2012, n. 54, vigevano anche gli artt. 84-88 del DPR 396/2000, i quali prevedevano che per il solo cambio del cognome o di aggiunta al proprio di un altro cognome la competenza fosse devoluta al Ministero dell’Interno, mentre gli artt. 89 e seguenti concernevano la domanda di cambiamento del nome, di aggiunta al proprio di un altro nome o di mutamento del cognome perché ridicolo o vergognoso o perché rivela origine naturale, affidate al Prefetto.

Oggi, questa distinzione non opera più, quindi il Ministero dell'Interno non deve fornire alcuna autorizzazione e il prefetto è l'unica autorita decisionale in materia.

Pertanto, nel caso di specie, come spiegato anche dall'addetta, non si è trasmessa al Ministero la domanda del cittadino per ottenere una qualche "approvazione" - peraltro, se si è già provveduto all'affissione, significa che il prefetto ha già valutato positivamente l'ammissibilità della richiesta di modifica - ma si è "posto un quesito" al dicastero dell'interno, per ragioni non conosciute, magari attinenti ad aspetti interpretativi solo formali (non è possibile immaginare quali, senza aver esaminato la documentazione del caso).
Difatti, secondo quanto affermato nella Circolare del Ministero dell'Interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, n. 14 del 21 maggio 2012 "l'unicità interpretativa ed applicativa [della nuova normativa del 2012] viene assicurata in ragione del mantenimento, in capo al Ministero dell'lnterno - Direzione centrale per i servizi demografici - del compito di emanare le opportune direttive nella materia, al fine di assicurare all'attivita la necessaria coerenza normativa e l'omogeneita dell'applicazione sui territorio".

Non si vedono motivi per cui il cittadino non possa chiedere alla Prefettura il contenuto del quesito posto al Ministero, in quanto di norma, salvi i casi elencati dalla legge, i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti hanno diritto di prendere visione degli atti del procedimento (art. 10, legge 241/1990). A tale scopo, si dovrà depositare apposita domanda di accesso agli atti.

Il cittadino, poi, ha certamente diritto a non vedere dilatare irragionevolmente i tempi di durata del procedimento amministrativo. In tal senso, soccorre l’articolo 2 bis della Legge n. 241/1990, così come modificato dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, che recita:
1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, l'istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento
".

Si ricorda, infine, che, in caso di provvedimento di diniego, necessariamente motivato, sarà possibile esperire le impugnazioni di legge (ricorso straordinario al Presidente della Repubblica oppure ricorso al TAR competente per territorio, rispettivamente entro giorni 120 e giorni 60 dalla data della notifica).