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Se la legge dello Stato di cui è cittadina lo prevede la moglie può mantenere il cognome del marito anche dopo il divorzio

Famiglia - -
Se la legge dello Stato di cui è cittadina lo prevede la moglie può mantenere il cognome del marito anche dopo il divorzio
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23291 del 2015, è intervenuta, ancora una volta in tema nell’ambito del diritto di famiglia, questa volta, allo scopo di risolvere il quesito in merito alla possibilità, per la moglie straniera, di conservare il cognome del marito italiano, dopo il divorzio.

Va osservato, infatti, che, in base alla legge italiana, dopo il divorzio, di regola, la moglie perde l’uso del cognome del marito, tornando ad utilizzare il cognome da nubile, tuttavia, in alcuni casi, il giudice può autorizzare la moglie che ne abbia interesse, a continuare ad usarlo (ad esempio se, nel suo ambiente lavorativo e sociale, la donna è ormai conosciuta e identificata con quel cognome, in considerazione dei molti anni di matrimonio).

Ma questa regola vale anche se la moglie è straniera? E cosa succede se la legge del suo Stato di appartenenza le consente di continuare a utilizzare il cognome del marito?

Nel caso all’esame della Corte, la domanda della donna, rivolta al Tribunale, veniva rigettata in primo grado ma tale sentenza veniva riformata in grado d’appello, in quanto la Corte riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla donna.

Giunti al terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione ritiene che, sul punto, trovi applicazione la Convenzione di Monaco , recepita dall’Italia con la legge n. 950 del 1984, in base alla quale, gli Stati contraenti devono determinare il cognome e il nome di una persona in base alla legge dello Stato di cui la persona stessa ha la cittadinanza, anche se tale Stato non abbia aderito alla Convenzione stessa (art. 1 della Convenzione di Monaco).

Di conseguenza, nel caso di specie, le questioni relative al cognome della donna dovevano essere risolte in base alla legge dello Stato di cittadinanza della stessa, che era la Svezia.

Poiché, dunque, il diritto svedese consente, del tutto liberamente, alla ex moglie di continuare ad utilizzare il cognome del marito, anche dopo la fine del matrimonio, la Corte di Cassazione ritiene del tutto corretta la decisione cui era giunta la Corte d’Appello, la quale aveva confermato, parimenti, il diritto della donna di continuare a usare il cognome dell’ex marito.

In altri termini, qui, non si trattava nemmeno di andare ad indagare i motivi per cui la donna aveva chiesto di mantenere l’uso del suo cognome da sposata, dal momento che l’unica questione che si poneva, era quella di individuare la legge applicabile al caso di specie.

Infatti, nel momento in cui una delle due parti del giudizio non sia cittadino italiano, si pone proprio questo problema di diritto internazionale.

Quindi, la Corte di Cassazione, preso atto che la donna era svedese e che la Convenzione di Monaco, cui l’Italia ha aderito con la legge n. 950 del 1984, prevede che le questioni relative al cognome dei soggetti vadano risolte in base alla legge del loro Stato di appartenenza, non ha potuto fare altro che dare applicazione a quanto previsto dalla legge svedese sul punto.

Dunque, poiché la legge svedese, al contrario di quella italiana, concede all’ex moglie la libera facoltà di mantenere il cognome dell’ex marito, la sua richiesta doveva ritenersi fondata e la Corte d’Appello aveva correttamente operato nel riformare la sentenza di primo grado, che, invece, aveva rigettato la sua domanda, ritenendola infondata.


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