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Articolo 13 Norme in materia di orario di lavoro

(D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66)

[Aggiornato al 01/01/2019]

Durata del lavoro notturno

Dispositivo dell'art. 13 Norme in materia di orario di lavoro

1. L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite.

2. È affidata alla contrattazione collettiva l'eventuale definizione delle riduzioni dell'orario di lavoro o dei trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni. Sono fatte salve le disposizioni della contrattazione collettiva in materia di trattamenti economici e riduzioni di orario per i lavoratori notturni anche se non concesse a titolo specifico.

3. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ovvero, per i pubblici dipendenti, con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa consultazione delle organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più rappresentative e delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di otto ore nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore.

4. Il periodo minimo di riposo settimanale non viene preso in considerazione per il computo della media quando coincida con il periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi di cui al comma 1.

5. Con riferimento al settore della panificazione non industriale la media di cui al comma 1 del presente articolo va riferita alla settimana lavorativa.

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G. M. chiede
mercoledģ 03/12/2025
“Sono un dipendente pubblico infermiere in part time verticale 55% 4 giorni a settimana davenerdi a lunedi concentrati in due notti a settimana di 10 ore lavoro solo notturno. Supero le 80 notti annue come lavoratore notturno tutelato dalla legge 66/2003e rientro nel lavoro usurante superando le 64 notti annuali, ritengo che il mio contratto sia stato stipulato in violazione alla normativa sui lavoratori notturni che prevede un massimo di lavoro di 8 ore nelle 24 ore, che nel caso del par time andrebbe riproporziionato a un massimo di 6,4 ore. A questo si somma che con modifica unilaterale senza clusole elastiche il datore di lavoro mi ha fatto sempre lavorare ore in piu costantemente dal 2008, con turni notturni che variavano da 12 a 14 ore continuative, vorrei richiedereper i turni doppi eseguiti costantemente sopra le 11 ore i riposi compensativi che mi sarebbero spettati e mai erogati secondo la sentenza Corte di Cassazione con ordinanza 26 agosto 2024 n. 23111,Si tratta, in sostanza, di un compenso strettamente connesso alla penosità del lavoro prestato in turni e agganciato all'effettiva prestazione del servizio, con la sola deroga delle assenze che sono causalmente collegate a tale organizzazione del lavoro e funzionali al recupero della maggior durata della prestazione lavorativa. Al riguardo, precisa la Corte di Cassazione può parlarsi di riposo compensativo “non solo per l'avvenuto superamento dell'orario di lavoro settimanale ma anche qualora il riposo venga a porsi in termini di sistematica programmazione legata al recupero della maggiore gravosità della prestazione resa in un turno prolungato in periodo notturno”. Pur essendo sui laoratori turnisti per il principio di non discriminazione del part time e perchè legata alla gravosita dell'abnorme prolungato turno notturno oltre l'orario previsto a mio avviso dovrebbe rientrarci anche il part time verticale. A vostro parere il mio caso rientra nella fattispecie e se posssibile chiedere il pagamento per i riposi compensativi mai erogati dal 2008 per turni notturni continuativi sopra le 11 ore essendo il mio orario massimo di lavoro notturno riproporzionato di 6,4 ore sulle 8 ore massime previste per i lavoratori notturni, indiopendentemente dal CCNL essendo la legge sempre superiore alla contrattazione collettiva, ed inoltre la nota il Ministero del lavoro con nota del 30 agosto 2010 n. 17879 dove Nei giorni in cui il lavoratore part-time si astiene dalla prestazione avviene una sospensione del rapporto di lavoro e tali giorni non possono rientrare nel computo dell'orario di lavoro, di conseguenza occorre riproporzionare il limite delle ore di lavoro notturno indipendentemente dal CCNL Grazie e distinti saluti”
Consulenza legale i 17/12/2025
Il Decreto Legislativo 8 aprile 2003 n. 66 (Norme in materia di orario di lavoro), di attuazione delle direttive europee in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, stabilisce:
  • Art. 1, comma 2, lett. d): per periodo notturno si intende un periodo di almeno sette ore consecutive, comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le ore 5.
  • Art. 1, comma 2, lett. e): è lavoratore notturno colui che svolge lavoro notturno:
    • per almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero in modo normale, oppure
    • in assenza di diversa disciplina collettiva, per almeno ottanta giorni lavorativi all’anno, riproporzionati in caso di lavoro a tempo parziale.
Nel caso in esame, il superamento delle 80 notti annue, anche dopo il necessario riproporzionamento del part-time verticale, consente di affermare senza incertezze che il lavoratore rientra pienamente nella nozione legale di lavoratore notturno tutelato.

L’art. 13, comma 1, D.Lgs. 66/2003 stabilisce che “l’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite”.
Tale limite costituisce norma imperativa di tutela della salute e sicurezza, di derivazione europea, e può essere modulato solo nei limiti consentiti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, purché in senso non peggiorativo per il lavoratore.

Il principio del riproporzionamento delle tutele nel lavoro a tempo parziale discende:
  • dalla normativa nazionale sul part-time;
  • dal principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e parziale;
  • dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione.
In particolare, il legislatore prevede espressamente il riproporzionamento del numero minimo di notti annue per la qualificazione di lavoratore notturno.

Analogo criterio deve essere applicato al limite massimo di durata del lavoro notturno, al fine di evitare che il lavoratore part-time subisca un trattamento più gravoso rispetto al full-time.
Ne consegue che, in un rapporto part-time verticale al 55%, il limite delle 8 ore medie nelle 24 ore deve essere valutato in modo coerente con l’orario contrattuale, con un limite massimo riproporzionato (pari, secondo l’impostazione più rigorosa, a 6,4 ore).
Turni notturni di 10 ore, e a maggior ragione di 12–14 ore, risultano quindi strutturalmente incompatibili con la disciplina legale, salva la rigorosa applicazione di periodi di riferimento e compensazioni conformi alla legge, che nel caso di specie non risultano.
La prestazione sistematica di ore eccedenti in assenza di clausole elastiche o flessibili, senza accordo individuale e senza adeguata compensazione o recupero integra una violazione della disciplina del lavoro part-time, nonché dell'art. 2103 del c.c. e dei principi generali di correttezza e buona fede contrattuale.

Con Ordinanza 26 agosto 2024, n. 23111, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro ha affermato un principio di particolare rilevanza, stabilendo che:
  • il riposo compensativo non è riconducibile esclusivamente al superamento dell’orario settimanale;
  • esso può essere dovuto anche quando il riposo è funzionalmente collegato alla maggiore gravosità della prestazione lavorativa, in particolare in presenza di turni notturni prolungati;
  • tale riposo costituisce un compenso strettamente connesso alla penosità del lavoro svolto, e non una mera assenza non lavorata.
La Corte chiarisce che il riposo compensativo è giustificato anche quando rappresenta una misura strutturale di recupero psicofisico a fronte di turni notturni anormalmente lunghi.

Il principio affermato dalla Cassazione si fonda sulla gravosità oggettiva della prestazione, e non sulla misura dell’orario settimanale; trova quindi piena applicazione anche nei confronti del lavoratore part-time verticale, in forza del principio di non discriminazione.
Pertanto, i riposi compensativi non fruiti a seguito di turni notturni continuativi superiori alle 11 ore devono ritenersi illegittimamente omessi, con conseguente diritto al loro riconoscimento giuridico.

Con ordinanza 5 luglio 2024, n. 18390 la Corte di Cassazione - Sezione Lavoro ha affermato che il recupero delle ore di mancato riposo compensativo non può essere frazionato. Deve, invece, essere continuativo o cumulabile con i riposi giornalieri e/o settimanali previsti.

La Suprema Corte ha richiamato il paragrafo 7 della normativa comunitaria (Direttiva 2003/88/CE), secondo cui qualsiasi riposo preso a compensazione di un periodo di riposo settimanale ridotto è attaccato ad un altro periodo di riposo di almeno 9 ore. Quindi, sulla scorta di tale normativa, ha correttamente affermato che il recupero delle ore di mancato riposo non può essere frazionato, dovendo essere continuativo o cumulabile con i riposi giornalieri e/o settimanali previsti.

La Corte ha ribadito che il danno da usura non può essere adeguatamente ristorato dalla successiva compensazione con riposi concessi in tempo successivo rispetto alla previsione legale e contrattuale della loro fruizione, atteso che la penosità da protratto espletamento della prestazione lavorativa incide in misura più che proporzionale rispetto alla durata della prestazione, richiedendo un crescendo dispendio di energie lavorative. La fruizione intempestiva di riposi, anche in prosecuzione di altri, diventa quindi inutile e si pone appunto in contrasto con la normativa dell'Unione. Né è pensabile che il riposo compensativo possa essere frazionato e concesso a piacimento quando il riposo giornaliero e/o settimanale superi di qualche ora quello previsto dalla normativa di riferimento, perché la regolamentazione CEE sul regime delle compensazioni è esplicita nel richiedere la continuità del riposo compensativo, da aggiungersi nella sua interezza a un riposo ordinario e nel distinguere l'uno dall'altro.

La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire che il danno da usura psicofisica può ritenersi accertato sulla base della gravosità della prestazione lavorativa, con riferimento alla frequenza dei mancati riposi tempestivi e alla durata complessiva del periodo di esposizione.

Riguardo alla quantificazione del danno, la Corte ha ritenuto legittimo il ricorso a una liquidazione equitativa, effettuata tenendo conto della disciplina contrattuale più congrua rispetto alla concreta situazione di fatto.

Si richiamano quindi alcuni principi giurisprudenziali espressi in materia.

Cass. civ., Sez. Lav., 14 luglio 2015, n. 14710 ha affermato che “la prestazione lavorativa svolta in violazione della disciplina dei riposi giornalieri e settimanali, protrattasi per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica di natura non patrimoniale, distinto dal danno biologico, la cui esistenza è presunta nell’an, in quanto lesione del diritto garantito dall’art. 36 Cost.”.
Ai fini della determinazione del quantum, occorre tener conto, quindi, della gravosità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva di riferimento, che non vanno confuse con le maggiorazioni retributive previste per altre fattispecie.
Con la sentenza Cass. civ., Sez. Lav., 10 maggio 2019, n. 12538, è stato affermato che “la prestazione lavorativa eccedente, che superi di gran lunga i limiti di legge e si protragga per anni, cagiona un danno da usura psico-fisica, senza che possa configurarsi un concorso colposo del lavoratore per la mera disponibilità alla prestazione. Ciò in quanto l’obbligo di tutela ex art. 2087 del c.c. grava esclusivamente sul datore di lavoro e non può essere eluso valorizzando la volontarietà del lavoratore.
Secondo Cass. civ., Sez. Lav., 15 luglio 2019, n. 18884, “la mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale è fonte di danno non patrimoniale presunto, poiché l’interesse leso gode di copertura costituzionale diretta nell’art. 36 Cost”. Il diritto al riposo è indisponibile, deve essere garantito d’ufficio dal datore di lavoro, trova fondamento non solo nella Costituzione, ma anche nell’art. 5 della Direttiva 2003/88/CE.