Cassazione civile Sez. II sentenza n. 4816 del 23 febbraio 2024

(2 massime)

(massima n. 1)

L'apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso il cortile di proprietà esclusiva di un edificio limitrofo (appartenente ad un diverso proprietario) è soggetta alle prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre una servitù di fatto a carico dell'immobile altrui, dato che il diritto di veduta comporta una permanente minorazione della utilizzabilità del bene che ne è gravato da parte di chiunque ne sia o ne divenga proprietario, con attribuzione alla proprietà vicina di un corrispondente vantaggio che a questa finisce per inerire come "qualitas", ossia con le caratteristiche di realità tali da inquadrarsi nello schema delle servitù.

(massima n. 2)

Il riconoscimento di un diritto di veduta comporta una permanente minorazione della utilizzabilità del bene che ne è gravato da parte di chiunque ne sia o ne divenga proprietario, con attribuzione all'edificio limitrofo di un corrispondente vantaggio che a questo finisce per inerire come qualitas, ossia con le caratteristiche di realità tali da inquadrarsi nello schema delle servitù. Ne consegue che in tali ipotesi il giudice prima di applicare la norma di cui all'art. 907 c.c. è chiamato ad accertare in fatto se la situazione obiettiva trovi fondamento in una previsione pattizia a titolo derivativo (tramite contratto) o a titolo originario (tramite usucapione o destinazione del padre di famiglia), senza fondare il proprio convincimento sulla mera anteriorità dell'apertura che da sola non può costituire il diritto di veduta.

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