Cassazione civile Sez. V sentenza n. 16032 del 29 luglio 2005

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di uno "status" di "extrafiscalità", che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, "ratione temporis") - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il disposto dell'art. 111, comma primo, del citato testo unico - in forza del quale le attività svolte dagli enti associativi a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce d'altro canto una deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del testo unico, secondo la quale l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ. (Sulla base degli enunciati principi, la S.C. ha ritenuto immune da censura la sentenza impugnata, che aveva considerato recuperabili a tassazione, come redditi di impresa, i proventi conseguiti da una associazione sportiva, rilevando come, di fronte all'affermazione - contenuta nella sentenza stessa - secondo cui, alla stregua delle risultanze dell'accesso diretto dei verbalizzanti, i "soci" della palestra da essa gestita venivano di fatto trattati come semplici clienti di un imprenditore, sarebbe spettato all'associazione ricorrente fornire la prova contraria della natura non commerciale dell'attività svolta, prova che non poteva essere desunta dal solo statuto sociale, attestante l'assenza del fine di lucro). (rigetta, Comm. Trib. Reg. L'Aquila, 20 Aprile 1998).

(massima n. 2)

In tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato ulteriore riscontro nelle risultanze dell'accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Né è con ciò violato il principio della cosiddetta "parità delle armi", di cui all'art. 111 Cost., atteso che - in forza di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 - anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il medesimo valore probatorio. (rigetta, Comm. Trib. Reg. L'Aquila, 20 Aprile 1998).

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