Cassazione civile Sez. I sentenza n. 13060 del 9 settembre 2002

(5 massime)

(massima n. 1)

In tema di determinazione dell'importo dell'assegno di divorzio, le argomentazioni usate per stabilire la sussistenza del diritto all'assegno, consistenti nell'accertamento del deterioramento del tenore di vita del coniuge richiedente, causato dalla mancanza di mezzi adeguati o dalla oggettiva impossibilità di procurarseli, rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio ovvero a quello ragionevolmente e legittimamente sperabile in base alle aspettative maturate in costanza di matrimonio, non svolgono diretta influenza su quelle utilizzate successivamente dal giudice per stabilirne la misura, né possono essere poste in contrapposizione con queste per arguirne contraddizioni od omissioni di motivazione.

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(massima n. 2)

La convivenza more uxorio di un coniuge separato, che abbia acquisito carattere di stabilità, pur se non esclude — di per sé — il diritto dello stesso all'assegno di divorzio, influisce comunque sulla determinazione della sua entità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di divorzio, aveva attribuito rilievo ad una convivenza more uxorio di durata pari a quella del matrimonio).

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(massima n. 3)

In tema di assegno di divorzio, il criterio delle “ragioni della decisione”, previsto dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, postula una indagine sulla responsabilità del fallimento del matrimonio in un prospettiva comprendente l'intero periodo di vita coniugale, e quindi in una valutazione che attenga non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia concretamente costituito un impedimento al ripristino della comunione spirituale e materiale e alla ricostituzione del consorzio familiare. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza impugnata che, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di divorzio, aveva attribuito rilievo alla convivenza more uxorio del coniuge richiedente protrattasi, successivamente alla separazione, per un periodo pari alla durata del matrimonio).

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(massima n. 4)

Poiché, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di divorzio, il criterio del contributo personale o economico dato dal coniuge richiedente in costanza di matrimonio esige la diretta provenienza del contributo stesso, l'apporto di estranei al nucleo familiare (nella specie, parenti del coniuge richiedente l'assegno di divorzio) non può essere preso in considerazione a quei fini, sia perché caratterizzato da liberalità, sia perché non sarebbe ragionevole né conforme a giustizia, attraverso l'aumento dell'assegno di divorzio, tradurre in effetti vantaggiosi per un solo membro del consorzio familiare l'incremento del patrimonio familiare favorito dall'intervento liberale di terzi.

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(massima n. 5)

Allorquando l'assegno di divorzio, attribuito allo scopo di evitare l'apprezzabile deterioramento delle precedenti condizioni di vita del coniuge richiedente, pur essendo di natura eminentemente assistenziale, sia destinato — nei fatti — a soddisfare, per la sua non elevata entità,mere esigenze di carattere alimentare, esso non si differenzia dall'assegno di mantenimento corrisposto in sede di separazione, con la conseguenza che le somme corrisposte a tale titolo, nel caso in cui venga meno il diritto all'assegno o se ne riduca l'entità, non sono suscettibili di ripetizione.

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