Consiglio di Stato Sez. III sentenza n. 2769 del 22 giugno 2016

(5 massime)

(massima n. 1)

Il giudizio di esecuzione del giudicato ha la precipua funzione di un controllo successivo del rispetto, da parte dell'Amministrazione, degli obblighi derivanti dal giudicato, al fine di attribuire alla parte vittoriosa in sede di cognizione l'utilità ivi accertata come spettantegli; tale verifica sull'esatta attuazione del giudicato implica la precisa individuazione dei contenuti dell'effetto conformativo derivante dalla sentenza di cui si chiede l'esecuzione, in esito all'interpretazione della sequenza causa petendi - petitum - decisum.

(massima n. 2)

Con il rimedio del ricorso per esecuzione del giudicato può essere lamentata non solo la totale inerzia dell'Amministrazione nell'esecuzione del giudicato e, cioè, la mancanza di qualsivoglia attività esecutiva, ma anche la sua attuazione inesatta, incompleta o elusiva, per mezzo, cioè, dell'adozione di atti che violano o eludono il comando contenuto nella sentenza di cui si chiede l'esecuzione.

(massima n. 3)

Il provvedimento sopravvenuto ed emanato in dichiarata esecuzione del giudicato dev'essere impugnato, nel termine di decadenza, con il ricorso ordinario, che attivi, cioè, un nuovo giudizio di cognizione, quando se ne deduce l'illegittimità per la violazione di regole di azione estranee al decisum della sentenza da eseguire, mentre l'atto asseritamente emesso in violazione o in esecuzione del giudicato dev'essere impugnato con il ricorso per ottemperanza nel termine di prescrizione dell'actio iudicati, in quanto nullo ai sensi dell'art. 21 septies L. n. 241 del 1990 e 114, comma 4, lett. b), del c.p.a., salve le regole sulla conversione del rito, in presenza dei relativi presupposti.

(massima n. 4)

Deve ritenersi ammissibile ed in ogni caso procedibile un ricorso per esecuzione del giudicato proposto ai sensi dell'art. 112 c.p.a., pur se non vi sia stata l'impugnazione del provvedimento sopravvenuto elusivo del giudicato, non potendosi ravvisare qualsivoglia preclusione o decadenza processuali in conseguenza della mancata impugnazione. L'art. 112 c.p.a., infatti, si limita a stabilire le condizioni di ammissibilità del ricorso per ottemperanza e, per quanto qui interessa, richiede la formulazione della domanda di attuazione dei provvedimenti indicati al comma 2, mentre l'art. 114, comma 4, c.p.a. descrive la latitudine dei poteri del giudice, in caso di accoglimento del ricorso.

(massima n. 5)

Nell'ipotesi in cui sia sopravvenuto (al giudicato ed al ricorso d'esecuzione) un provvedimento che il ricorrente reputi violativo o elusivo del decisum, non è necessaria la sua formale impugnazione perché il giudice dell'ottemperanza sia ritualmente investito del potere di dichiararne la nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 21 septies, L. n. 241 del 1990 e 114, comma 4, lett. b), c.p.a. Se l'atto elusivo è stato emesso prima della proposizione del ricorso, non è indispensabile che il ricorrente indichi, nella sua epigrafe, gli estremi del provvedimento sopravvenuto come oggetto di impugnazione (né che ne deduca esplicitamente l'invalidità radicale, nel corpo dell'atto, né, infine, che nelle conclusioni domandi formalmente la declaratoria della sua nullità), mentre - se l'atto elusivo è stato emesso nel corso del giudizio d'ottemperanza - per la sua contestazione non occorre un atto notificato, bastando comunque una memoria difensiva.

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