Consiglio di Stato Sez. Ad. Plen. sentenza n. 15 del 29 luglio 2011

(19 massime)

(massima n. 1)

La principale caratteristica della d.i.a. risiede nella sostituzione dei tradizionali modelli provvedimentali autorizzatori con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private consentite dalla legge in presenza dei presupposti fattuali e giuridici normativamente stabiliti.

(massima n. 2)

La denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.

(massima n. 3)

La liberalizzazione attuata con la d.i.a. ha carattere solo parziale in quanto il principio di autoresponsabilità è temperato dalla persistenza del potere amministrativo di verifica dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell'attività denunciata. Trattasi, in sostanza, di attività ancora sottoposte ad un regime amministrativo, pur se con la significativa differenza che detto regime non prevede più un assenso preventivo di stampo autorizzatorio ma un controllo - a seconda dei casi successivo alla presentazione della d.i.a. o allo stesso inizio dell'attività dichiarata - da esercitarsi entro un termine perentorio con l'attivazione ufficiosa di un doveroso procedimento teso alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l'esercizio dell'attività dichiarata.

(massima n. 4)

Il denunciante è titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dall'ordinamento, che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante l'inoltro dell'informativa. Il privato è, poi, titolare di un interesse oppositivo a contrastare le determinazioni per effetto delle quali l'amministrazione, esercitando il potere inibitorio o di autotutela, incida negativamente sull'avere licere oggetto della denuncia. Per converso, il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell'attività denunziata è titolare di una posizione qualificabile come interesse pretensivo all'esercizio del potere di verifica previsto dalla legge.

(massima n. 5)

Il terzo titolare di un interesse contrapposto al denunciante è legittimato all'esercizio, a completamento ed integrazione dell'azione di annullamento del silenzio significativo negativo, dell'azione di condanna pubblicistica (cd. azione di adempimento) tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all'amministrazione l'adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell'art. 19 della legge n. 241/1990.

(massima n. 6)

Il terzo destinatario di effetti immediatamente lesivi, può valersi dell'azione di accertamento atipica, qualora la d.i.a. produca un effetto legittimante istantaneo, o comunque anticipato rispetto al decorso del termine per l'esercizio del potere inibitorio. Una simile eventualità non contrasta con il disposti dell'art. 34, comma 2, c.p.a., dovendosi fare applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale che distingue tra i presupposti processuali - ossia i requisiti che devono sussistere ai fini dell'instaurazione del rapporto processuale - che devono esistere sin dai momento della domanda, e le condizioni dell'azione - ossia i requisiti della domanda che condizionano la decidibilità della controversia nel merito - che devono esistere al momento della decisione. Nella specie, la scadenza del termine di conclusione del procedimento è un fatto costitutivo integrante una condizione dell'azione che, ai sensi del disposto dell'art. 34, comma 2, cit., deve esistere al momento della decisione. Ne deriva che l'assenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude l'esperimento dell'azione giudiziaria anche se impedisce l'adozione di una sentenza di merito ai sensi del citato capoverso dell'art. 34.

(massima n. 7)

Il silenzio osservato dall'amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l'esercizio del potere inibitorio si distingue dal silenzio-rifiuto (o inadempimento) in quanto mentre quest'ultimo non conclude il procedimento amministrativo ed integra una mera inerzia improduttiva di effetti costitutivi, il decorso del termine in esame pone fine al procedimento amministrativo finalizzato all'adozione dell'atto di divieto e produce l'effetto giuridico di precludere l'esercizio del potere inibitorio a seguito dell'infruttuoso decorso del termine perentorio all'uopo sancito dalla legge. In definitiva, a differenza del silenzio rifiuto che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo, il silenzio di che trattasi, producendo l'esito negativo della procedura finalizzata all'adozione del provvedimento restrittivo, integra esercizio del potere amministrativo attraverso l'adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un non necessario atto espresso di diniego dell'adozione del provvedimento inibitorio.

(massima n. 8)

La configurazione del silenzio in esame alla stregua del silenzio significativo produce precise conseguenze in merito alle tecniche di tutela praticabili del terzo controinteressato all'esercizio dell'attività denunciata. Venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo sarà affidata primariamente all'esperimento di un'azione impugnatoria, ex art. 29 del codice del processo amministrativo. Quanto al dies a quo del ricorso per annullamento, ai sensi di legge il termine decadenziale di sessanta giorni per proporre l'azione prenda a decorrere solo dal momento della piena conoscenza dell'adozione dell'atto lesivo (cfr. art. 41, comma 2, del codice).

(massima n. 9)

Il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sia pure in maniera non esplicita, ha ritenuto esperibile, anche in presenza di un provvedimento espresso di rigetto e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità amministrativa o tecnica, l'azione di condanna volta ad ottenere l'adozione dell'atto amministrativo richiesto. E tanto alla stregua del combinato disposto dell'art. 30, comma 1, che fa riferimento all'azione di condanna senza una tipizzazione dei relativi contenuti (sull'atipicità di detta azione si sofferma la relazione governativa di accompagnamento al codice) e dell'art. 34, comma 1, lett. c), ove si stabilisce che la sentenza di condanna deve prescrivere l'adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio (cfr., già con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio 2009, n. 717).

(massima n. 10)

L'architettura del codice, in coerenza con il criterio di delega fissato dall'art. 44, comma 2, lettera b, n. 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell'interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l'esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa.

(massima n. 11)

Lo iussum giurisdizionale che accolga la domanda di adempimento in tema di d.i.a. non produce un'indebita ingerenza nell'esercizio di poteri discrezionali riservati alla pubblica amministrazione ma, sulla scorta dell'accertamento dell'esistenza dei presupposti per il doveroso potere inibitorio, impone una determinazione amministrativa non connotata da alcun profilo di discrezionalità.

(massima n. 12)

Anticipando alla fase della cognizione un effetto conformativo da far valere altrimenti nel giudizio di ottemperanza, si consente un'accelerazione della tutela coerente, oltre che con il generale principio di effettività della tutela giurisdizionale, con la stessa propensione mostrata dal codice (cfr. art. 34, comma 1, lett. e) a trasfondere nel contenuto della sentenza di cognizione l'adozione di misure attuative tradizionalmente proprie del momento dell'esecuzione.

(massima n. 13)

La mancata previsione, nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull'azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di assai dubbia costituzionalità, ma è spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha di norma bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non si appalesa strumentale all'adozione di altra pronuncia di cognizione ma si presenta, per così dire, allo stato puro, ossia senza sovrapposizione di altre funzioni. Ne deriva, di contro, che, ove dette azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l'azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art. 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all'art. 44 della legge n. 69/2009.

(massima n. 14)

Il giudice amministrativo, nelle more del termine entro il quale la p.a. può esercitare il suo potere inibitorio, può adottare, nella pendenza del giudizio di merito, le misure cautelari necessarie, ai sensi dell'art. 55 del codice del processo amministrativo, al fine di impedire che, nelle more della definizione del procedimento amministrativo di controllo e della conseguente maturazione della condizione dell'azione, l'esercizio dell'attività denunciata possa infliggere al terzo pregiudizio grave ed irreparabile. Sono adottabili, a fortiori, misure cautelari ante causam, al fine di assicurare gli effetti della sentenza di merito, in presenza dei presupposti all'uopo sanciti dall'art. 61 del codice del processo amministrativo.

(massima n. 15)

L'azione di accertamento atipico avanzata dal terzo non può avere ad oggetto solo la mera sussistenza o insussistenza dei presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia ma, in coerenza con i caratteri della giurisdizione amministrativa come giurisdizione sull'esercizio del potere amministrativo ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del codice, la sussistenza o insussistenza dei presupposti per l'adozione dei provvedimenti interdittivi doverosi, e, quindi, la fondatezza dell'interesse pretensivo all'uopo azionato del terzo.

(massima n. 16)

L'azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si estende automaticamente al provvedimento sopravvenuto in quanto la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire in pieno, sul piano del petitum sostanziale e della causa petendi, la decisione della pubblica amministrazione di non adottare il provvedimento inibitorio.

(massima n. 17)

Ove il terzo subisca una lesione in un arco di tempo anteriore al decorso del termine perentorio fissato dalla legge per l'esercizio dei poteri inibitori, non essendosi ancora perfezionato il provvedimento amministrativo tacito e non venendo in rilievo un silenzio-rifiuto, l'unica azione esperibile è l'azione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l'insussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio dell'attività oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti all'autorità amministrativa. In tal caso, l'assenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, afferendo ad una condizione richiesta ai fini della definizione del giudizio, non preclude l'esperimento dell'azione giudiziaria anche se impedisce l'adozione di una sentenza di merito ai sensi del capoverso dell'art. 34, cod. proc. amm. Di conseguenza, l'azione di accertamento proposta in via anticipata consente l'adozione di misure cautelari che, lungi dall'implicare una non consentita sostituzione nell'esercizio del potere di controllo, mira ad evitare che l'utilità dell'eventuale adozione della misura inibitoria adottata all'esito dell'esercizio dei potere possa essere vanificata dagli effetti medio tempore sortiti dall'esplicazione dell'attività denunciata. Sono adottabili, a fortiori, misure cautelari ante causam, al fine di assicurare gli effetti della sentenza di merito, in presenza dei presupposti all'uopo sanciti dall'art. 61 del codice del processo amministrativo.

(massima n. 18)

Nell'ambito di un quadro normativo sensibile all'esigenza costituzionale di una piena protezione dell'interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo, dell'azione generale di accertamento non preclude la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell'interesse legittimo (artt. 24, 103 e 113 - D.Lgs. n. 104/2010).

(massima n. 19)

Nel sistema di cui all'art. 19 della L. n. 241/ 1990 - come modificato dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, e, da ultimo, dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106 - che consente l'immediato inizio dell'attività oggetto dell'informativa a seguito della presentazione della segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a.), il denunciante è titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dall'amministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge, decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il discrezionale potere di autotutela.

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