Cassazione civile Sez. I sentenza n. 4 del 3 gennaio 2003

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l'interessato ha l'onere di dedurre e dimostrare il pregiudizio subito, non essendo configurabile un danno in re ipsa, fermo restando che, secondo i principi generali, tale prova può essere data per presunzioni, soprattutto quando si invochi la riparazione del danno non patrimoniale, atteso che preoccupazioni, tensioni e disagi della persona fisica non sono suscettibili di una dimostrazione diretta; ne consegue che — posto che la prova per presunzioni non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro, secondo criteri di regolarità causale (id quod plerumque accidit) — l'attribuzione di equa riparazione, per danno morale consistente nei menzionati turbamenti psichici, è legittima allorché si correli all'accertamento dell'eccessiva durata della causa ed all'individuazione dell'entità del superamento del termine ragionevole, ed inoltre tenga conto dell'oggetto della contesa e delle posizioni delle parti, e così esprima, quantomeno implicitamente, un convincimento di probabilità del prodursi di quel danno, secondo criteri di normalità causale (quantificandolo poi in misura coerente con i dati considerati).

(massima n. 2)

La domanda di equa riparazione, proposta ai sensi degli artt. 3 e 6 della legge 24 marzo 2001, n. 89 da chi abbia anteriormente presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, non apre un'ulteriore fase di un unico processo, atteso che la corte d'appello è chiamata a pronunciare sull'istanza ad essa presentata, non sul precedente ricorso alla Corte di Strasburgo, l'estraneità all'ordinamento giudiziario italiano dell'autorità inizialmente adita radicalmente ostando alla configurabilità di una translatio iudicii in senso proprio. Ne consegue che gli oneri eventualmente assunti dalla parte istante con l'avvalersi di un difensore per il ricorso alla Corte europea non rientrano tra le spese del processo, in ordine alle quali la corte d'appello ha il potere – dovere di statuire ai sensi degli artt. 91 e ss. c.p.c., dato che tali norme, dettate con riferimento alle sentenze ed estensibili in via analogica ai decreti camerali muniti di valore decisorio, riguardano le spese del processo davanti al giudice che adotta i relativi provvedimenti; né a diversa conclusione può indurre la circostanza dell'avvenuto inserimento, nella tariffa forense, di un'apposita voce per gli onorari dovuti in caso di assistenza dinanzi alla Corte europea, atteso che la relativa previsione, se implica debenza di tali onorari da parte del cliente che ha conferito il mandato professionale, non interferisce sulla diversa problematica della rivalsa delle spese di causa nel rapporto fra i contendenti, affidata in via esclusiva alla legge processuale.

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