Cassazione civile Sez. III sentenza n. 23918 del 9 novembre 2006

(3 massime)

(massima n. 1)

In tema di responsabilità civile nell'attività medico chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del professionista, restando a carico dell'obbligato l'onere di provare l'esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà rileva soltanto per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà.

(massima n. 2)

In tema di responsabilità del medico per i danni causati al paziente, l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere della diligenza, per il quale trova applicazione il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata. Ne consegue che il mancato raggiungimento del risultato può soltanto costituire danno consequenziale alla non diligente prestazione o alla colpevole omissione dell'attività sanitaria.

(massima n. 3)

Nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, il giudice di merito deve tener conto delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al caso concreto. Il ricorso da parte dei giudici di merito al criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, è legittimo, purché il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione di detto criterio alla fattispecie e dando atto di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo. (Nella specie, relativa a giovane donna danneggiata da inadeguato intervento chirurgico per enucleazione di adenoma mammario, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva liquidato il danno morale nella misura della metà del danno biologico, adottando la frazione più alta contemplata dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma).

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