Cassazione penale Sez. V sentenza n. 391 del 18 gennaio 1993

(4 massime)

(massima n. 1)

Il cancelliere che provvede all'iscrizione della causa nel registro degli affari contenziosi civili deve tenere conto solamente degli elementi formali risultanti dalla nota di iscrizione a ruolo redatta, a norma dell'art. 71 att. c.p.c., dalla parte che si costituisce, non rientrando nei suo compiti il controllo di merito sulla verità dell'atto e tanto meno l'individuazione delle parti e dei difensori effettivi; non è perciò configurabile il delitto di falso, neppure per induzione ai sensi degli artt. 48 e 480 c.p., se uno o più delle parti o dei difensori reali nel processo siano diversi da quelli risultanti dalla detta nota.

(massima n. 2)

L'ufficiale giudiziario deve indicare la parte nel cui interesse esegue la notificazione di un atto di citazione tenendo conto solamente degli elementi formali risultanti dall'atto stesso, non rientrando nei suoi compiti il controllo di merito sulla sua verità e tanto meno l'individuazione della parte effettiva. Non è, perciò, configurabile il delitto di falso, neppure per induzione ai sensi degli artt. 48 e 480 c.p., se la reale parte attrice o il suo procuratore e difensore siano diversi da quelli risultanti dalla citazione ed indicati come richiedenti la notificazione.

(massima n. 3)

Non può accertarsi la falsità materiale di un documento o della sola sottoscrizione quando, mancando l'originale, non si abbia la certezza assoluta della totale conformità a questo della copia disponibile; la relativa prova, pertanto, può avere solo ad oggetto il fatto storico della formazione della copia in modo conforme all'originale, non potendo la conformità essere dimostrata per induzione. (Fattispecie relativa ad autentica della procura stilata a margine della copia dell'atto di citazione allegato al fascicolo d'ufficio e caratterizzata dalla mancanza dell'originale, non rinvenuto).

(massima n. 4)

Poiché in dipendenza dell'oggettività giuridica del reato di cui all'art. 381 primo comma c.p., consistente nella tutela del normale funzionamento dell'attività giudiziaria, l'ambito del precetto penale deve essere definito alla stregua della distinzione tra strumentalità del processo e interesse sostanziale dello stato alla corretta amministrazione della giustizia, il reato stesso è configurabile solo quando le parti apparentemente contrapposte perseguano un comune fine illecito o quando l'oggetto e la finalità del giudizio siano tali da rappresentare formalmente e sostanzialmente interessi delle parti nella concretezza della loro conflittualità, di talché il bene giuridico protetto possa dirsi aggredito per il solo fatto che un unico patrocinatore assista parti contrarie; diversamente, laddove il momento dialettico del processo, di norma ma non sempre necessario, sia superato dalla convergenza degli interessi verso un unico lecito fine, non è sufficiente per l'integrazione del reato la sola contrapposizione formale ed esterna delle parti, non rilevando che al conseguimento del fine comune provveda un unico patrocinatore, perché in tal caso non v'è utilizzazione strumentale del processo per scopi ad esso estranei e quindi illeciti.

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