Cassazione civile Sez. I sentenza n. 23269 del 17 novembre 2005

(4 massime)

(massima n. 1)

Ai sensi dell'art. 2446 c.c., l'assemblea è tenuta a deliberare la riduzione del capitale per perdite in proporzione delle perdite accertate: e ciò sia nel senso che non può ritenersi consentita una riduzione che superi l'ammontare di queste, potendosi altrimenti risolvere la riduzione in un'indebita espropriazione dei soci, privati del valore delle azioni corrispondenti al capitale residuo; sia nel senso che la riduzione non può essere commisurata soltanto ad una frazione delle perdite, giacché ciò ne consentirebbe il trascinamento nel tempo ben oltre il limite temporale dell'esercizio successivo, espressamente indicato dalla menzionata disposizione del codice. Tale principio, peraltro, è suscettibile di limitata deroga nel caso in cui, occorrendo anche procedere al raggruppamento o al frazionamento di azioni, l'applicazione rigorosa della regola di riduzione del capitale in proporzione delle perdite farebbe emergere resti non suscettibili di attribuzione. Pertanto, deve ritenersi consentito il riporto a nuovo delle azioni, nei limiti in cui sia imposto dall'esigenza contabile di assicurare la parità di valore nominale delle azioni medesime, e purché sia circoscritto a quanto indispensabile per il soddisfacimento di tale esigenza.

(massima n. 2)

In tema di riduzione del capitale sociale per perdite, la norma dell'art. 2446 c.c. che prevede l'obbligo per gli amministratori di sottoporre senza indugio all'assemblea una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale, nonché il deposito di tali atti nella sede della società per gli otto giorni antecedenti l'assemblea trova la sua ratio nel principio secondo cui l'assemblea, ai fini di una regolare formazione della volontà sociale, in una materia che attiene alla vita stessa della società, deve essere dettagliatamente ed adeguatamente informata sulla reale situazione patrimoniale della società. Discende da ciò che la relazione in cui va esposta la situazione patrimoniale della società con i crismi di chiarezza, correttezza e veridicità imposti per il bilancio di esercizio dagli artt. 2423 ss. c.c. deve essere il più possibile aggiornata; e, non avendo il legislatore inteso fissare uno specifico termine al riguardo, il grado di aggiornamento richiesto deve di volta in volta essere valutato in relazione a ciascun caso concreto, tenendo conto almeno di due possibili varianti: la dimensione della società e la conseguente complessità dei rilevamenti contabili che la riguardano, da un lato; l'esistenza di eventuali fatti sopravvenuti idonei a far fondatamente supporre che la situazione patrimoniale, rispetto alla data di riferimento della relazione degli amministratori, possa essere mutata nel frattempo in modo significativo, dall'altro. Siffatte valutazioni sono rimesse al giudice di merito, e sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.

(massima n. 3)

La disposizione, di chiara ispirazione prudenziale, per la quale nella redazione del bilancio di una società per azioni non è consentito iscrivere all'attivo un valore di avviamento se non lo si sia acquistato a titolo oneroso (art. 2426, n. 6, c.c.), trova applicazione anche nella redazione della situazione patrimoniale richiesta dall'art. 2446 c.c. in tema di riduzione del capitale per perdite.

(massima n. 4)

L'indicazione, nell'avviso di convocazione dell'assemblea dei soci, dell'elenco delle materie da trattare ha la duplice funzione di rendere edotti i soci circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare, per consentire la loro partecipazione all'assemblea con la necessaria preparazione ed informazione, e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli assenti a seguito di deliberazione su materie non incluse nell'ordine del giorno. A tal fine, tuttavia, non è necessaria un'indicazione particolareggiata delle materie da trattare, ma è sufficiente un'indicazione sintetica, purché chiara e non ambigua, specifica e non generica, la quale consenta la discussione e l'adozione da parte dell'assemblea dei soci anche delle eventuali deliberazioni conseguenziali ed accessorie. La traduzione in atto di tali principi, implicando inevitabilmente una valutazione da compiere caso per caso e da rapportare alla specificità di ogni situazione, spetta al giudice del merito: pertanto, salvo che questi non abbia decisamente inteso discostarsi da essi, così violando o male applicando la norma, o che non abbia motivato in modo manchevole o contraddittorio il proprio convincimento, quella valutazione sfugge al sindacato di legittimità.

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