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Articolo 12 Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

(R.D. 30 marzo 1942, n. 318)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Dispositivo dell'art. 12 Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

I liquidatori esercitano la loro funzione sotto la diretta sorveglianza del presidente del tribunale e si considerano ad ogni effetto di legge pubblici ufficiali. Essi possono essere revocati e sostituiti in ogni tempo anche di ufficio dallo stesso presidente con provvedimento non soggetto a reclamo.

I liquidatori deliberano a maggioranza.

Massime relative all'art. 12 Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

Cass. civ. n. 11501/2008

Ai fini dell'interpretazione di provvedimenti giurisdizionali nella specie del decreto di liquidazione dei compensi al C.T.U. si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 e seguenti disp. prel. c.c., in ragione dell'assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l'esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici ), al pari del giudicato interno ed esterno e della sentenza rescindente, in quanto dotati di vis imperativa e indisponibilità per le parti ; ne consegue che la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore.

Cass. civ. n. 5128/2001

Nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge o (come nella specie) regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l'esame complessivo del testo, della mens legis, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa (Omissis).

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Consulenze legali
relative all'articolo 12 Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

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G. T. chiede
mercoledì 21/12/2022 - Sardegna
“RICORSO IN APPELLO – Rito Sezione LAVORO
Con sentenza del Tribunale di XXX del 08 giugno 2022 è stato respinto il ricorso attraverso il quale il sottoscritto chiedeva al Tribunale adito, in relazione alla “procedura per l’attribuzione della fascia retributiva superiore per 9 posti nella II area funzionale fascia F2 profilo professionale di Funzionario tecnico”.
L’oggetto del contendere e la decisione del Giudice ruota intorno all’interpretazione dell’art. 4 (titoli valutabili e relativi punteggi) del bando, con particolare riferimento al punto 2 lett a) : “Avere svolto nel biennio 2009/2010 attività di direzione di unità organizzativa complessa e/o compiuta di livello non dirigenziale: per ogni anno di direzione, punti 4”.
Il sottoscritto ha svolto i compiti di Direttore di unità organizzativa a partire dal 20 gennaio 2009 come previsto dal relativo Ordine di Servizio.
Secondo una interpretazione letterale, la commissione giudicatrice aveva ritenuto non valutabile l’attività svolta per 11 mesi e 12 giorni del 2009, valutando e attribuendo i 4 punti previsti solo per l’anno 2010.
L’attribuzione del punteggio relativo al 2009 avrebbe consentito al sottoscritto di posizionarsi in posizione utile nella graduatoria.
Nel bando, d’altro canto, non risulta esplicitato cosa esattamente si intenda “per ogni anno di direzione, punti 4”.
La valutazione e la decisione del Giudice appaiono a mio avviso sproporzionate.
Si chiede una valutazione in merito, se esistano dei casi in giurisprudenza valutati secondo una interpretazione più sostanziale e meno letterale e se vi siano gli estremi per un ricorso in appello. Inoltre, in caso di ricorso in appello a quali spese e a quali rischi si andrebbe incontro?
Resto a disposizione per la trasmissione della documentazione necessaria all’esame del caso.
Grazie!”
Consulenza legale i 04/01/2023
È principio consolidato in giurisprudenza che il bando costituisce la lex specialis del pubblico concorso, da interpretare in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell'Amministrazione, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità. Il Consiglio di Stato ha affermato che il bando è da considerare lex specialis del concorso in forza dei principi dell’affidamento e di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti che sarebbe pregiudicata ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis medesima, sia del più generale principio dell’autovincolo che vieta la disapplicazione del bando quale atto con cui l’amministrazione si è originariamente auto vincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 aprile 2013 n. 1969). Il Collegio ha ribadito, inoltre, che le clausole del bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in funzione integrativa, diretto ad evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, dovendo, invece, essere interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole e dalla loro connessione (cfr. art. 12, primo comma, disp. prel. cod. civ.). Soltanto qualora il dato testuale presenti evidenti ambiguità deve essere prescelto dall’interprete il significato più favorevole all’ammissione del candidato alle prove, essendo conforme al pubblico interesse - e sempreché non si oppongano a ciò interessi pubblici diversi e di maggior rilievo - che alla procedura selettiva partecipi il più elevato numero di candidati (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2003 n.7134). “l’ipotesi per l’Amministrazione, in sede di esame delle domande di partecipazione al concorso, di non dare applicazione a clausole del bando illegittime, o di dare alle clausole del bando un’interpretazione conforme a legge, o estensiva della partecipazione al concorso, è possibile solo nel caso di clausole del bando ambigue e suscettibili di più possibili e ugualmente plausibili letture da parte dell’interprete” (C. Stato, V, 19 settembre 1995, n. 1319).

Nel caso di specie, alla luce del quadro giurisprudenziale sopra esposto, è difficile sostenere un’interpretazione differente del dato letterale del bando di concorso, proprio perché si ricadrebbe nel divieto di interpretazione integrativa.

Tuttavia, si potrebbe innanzitutto tentare di sostenere che la precisazione circa la valutazione degli anni di servizio contenuta nel comma 3 dell’art. 4 del Bando di concorso, nonché nel corsivo in calce all’art. 27, comma 2 del CCNI, possa essere riferita anche agli anni di direzione. È pur vero che il tenore letterale della disposizione è circa gli “anni di servizio”.

Ad ogni modo, potrebbe sostenersi, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione e dalla sentenza che si vorrebbe impugnare, che si tratti di un criterio per calcolare il punteggio nel caso in cui la norma prevede un conteggio ad “anni”.

D’altronde, la valutazione degli anni di servizio e degli anni di direzione sono stati raggruppati nel medesimo comma e, in seguito, è stata aggiunta la precisazione, a chiosa, che “i periodi pari o superiori a sei mesi sono equiparati ad un anno”.
È pur vero che la precisazione si riferisce espressamente agli anni di servizio.

Tuttavia, analizzando diversi bandi di concorso, è prassi comune che le frazioni di anno vengano valutate in ragione mensile e valgano come intero anno, ove superiori a sei mesi. Anzi, sembrerebbe essere un’eccezione il fatto che gli anni di direzione vengano calcolati solo ove prestati per intero e verrebbe da chiedersi perché il bando non abbia precisato il contrario, ovvero che i periodi inferiori ad un anno di attività di direzione non vengono conteggiati.

Purtroppo, non si rinvengono precedenti giurisprudenziali sullo specifico punto, che possano sostenere una tale tesi.

Tuttavia, ad integrazione, si potrebbe richiamare un altro orientamento consolidato del Consiglio di Stato - in verità nato in relazione alla valutazione dei diplomi di perfezionamento rispetto ai Master di Secondo Livello, ma che potrebbe avere un’applicazione più ampia – circa la prevalenza del principio sostanziale sul principio formale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 23 aprile 2009 n. 2515, Sezione VI, sentenza 26 luglio 2017 n. 3695, da ultimo ribadito dal Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 9 febbraio 2022, n. 932).

Il principio è stato applicato ad una fattispecie diversa, ma è da notare che lo stesso ha prevalso proprio sulle argomentazioni addotte dalla controparte nel caso di specie.

Infatti, secondo il Consiglio di Stato per quanto “le clausole del bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in funzione integrativa, diretto ad evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, dovendo, invece, essere interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole e dalla loro connessione (cfr. art. 12, primo comma, disp. prel. cod. civ.)”, ove il tema riguardi “l’efficacia dei titoli posseduti e dichiarati dal candidato per l’ammissione al concorso, riconosce che il principio sostanziale debba prevalere sul principio formale anche nella ipotesi in cui, come nel caso di specie, la questione verta sui titoli valutabili per la determinazione del punteggio finale, perché diversamente si perverrebbe ad una illogica e immotivata disparità di trattamento”.

Tale principio potrebbe essere utile per sostenere una deroga alla lex specialis di concorso ove manchi una previsione specifica sulle valutazioni di taluni titoli professionali.

In considerazione, tuttavia, del fatto che non si rinvengono precedenti sul punto non si può fare una previsione circa un esito positivo di un eventuale giudizio di appello.

I rischi di quest’ultimo sono essenzialmente di natura economica. Si tenga conto che il contributo unificato (se dovuto in base al reddito) è aumentato del 50% in fase di appello e, in caso di soccombenza, la Corte potrebbe condannare il lavoratore a rifondere le spese legali all’amministrazione.
Infatti, in primo grado, il giudice ha ritenuto che la peculiarità della questione trattata giustificasse la compensazione tra le parti delle spese del giudizio, ma in fase di appello la Corte potrebbe non essere del medesimo avviso.