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Articolo 411 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Processo verbale di conciliazione

Dispositivo dell'art. 411 Codice di procedura civile

Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale(1) sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.

Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia(2). Se la proposta non e' accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.

Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si e' svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione e' depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto(3)(4). Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

Note

(1) Si precisa che il processo verbale di conciliazione deve essere sottoscritto dalle parti e dagli altri componenti della commissione di conciliazione che ha esperito il tentativo. Inoltre, va depositato, a cura delle parti o della DPL, nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione il verbale è stato formato. Sarà poi il giudice, previa istanza di parte, a dichiararlo esecutivo mediante decreto in seguito ad un controllo in ordine alla sua regolarità formale.
(2) Un'innovazione apportata dal collegato lavoro del 2010 (L.183/2010) consiste nell'obbligo per la commissione di conciliazione di formulare una proposta conciliativa nell'ipotesi in cui le parti non riescano a raggiungere autonomamente un accordo. La proposta stessa dovrà essere riportata nel processo verbale, unitamente alle considerazioni delle parti. Successivamente, sarà il giudice a tenere conto della proposta formulata dalla commissione e delle motivazioni che hanno spinto le parti a rifiutare di accettarla ai fini della condanna al pagamento delle spese di lite.
(3) Nella conciliazione sindacale è necessario che l'accordo sia raggiunto con l'assistenza del lavoratore da parte di un rappresentante dell'associazione sindacale di appartenenza. Tale accordo deve quindi risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti e dal rappresentante sindacale. Si precisa che l'assistenza dei rappresentanti delle relative organizzazioni sindacali è necessaria ai fini della validità della transazione.
(4) La legge devolve alla contrattazione collettiva il compito di determinare le modalità di composizione dell'organo conciliativo.

Spiegazione dell'art. 411 Codice di procedura civile

A seguito della riforma del 2010, la norma in esame è stata integralmente sostituita dal comma 3 dell'articolo 31 della Legge 183/2010.
Prevede adesso il primo comma che, se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione, che il giudice, su istanza della parte interessata, dichiara esecutivo con decreto.
Rispetto al testo previgente, sparisce il riferimento all'accertamento della regolarità formale del verbale di conciliazione da parte del giudice in sede di dichiarazione di esecutività dello stesso, così come sparisce la previsione del potere-dovere del presidente della commissione di certificare l'autografia della sottoscrizione delle parti.
Il secondo comma disciplina l’ipotesi in cui non si raggiunga l'accordo tra le parti; in questo caso la commissione di conciliazione formula una proposta per la bonaria definizione della controversia.
Se tale proposta non viene accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale, con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.

Come può notarsi, la commissione di conciliazione non svolge più il ruolo di mero terzo imparziale, investito della c.d. conciliazione facilitativa (ossia del compito di mediare tra le parti al semplice fine di comporre bonariamente la controversia), assumendo il ruolo di terzo investito del potere/dovere di esprimere una proposta di conciliazione che, pur non avendo alcuna efficacia vincolante o cogente, deve essere formulata sulla base della valutazione che la stessa commissione ha previamente effettuato in ordine alla distribuzione tra le parti dei torti e delle ragioni (c.d. conciliazione valutativa).
Delle risultanze di tale proposta il giudice terrà conto nel successivo giudizio qualora tale proposta non dovesse essere accettata senza adeguata motivazione.
Non è chiaro in che modo il giudice debba tenere conto delle predette risultanze e, quindi, come ed entro quali limiti queste ultime possano influenzarne o condizionarne la decisione finale.

Secondo quanto disposto dal terzo comma, nel caso in cui sia stato esperito il tentativo di conciliazione, i verbali e le memorie relative ad esso vanno allegati al ricorso indirizzato al giudice del lavoro, anche se non è prevista alcuna sanzione per il caso di mancata allegazione.
Scopo di tale disposizione è proprio quello di consentire al giudice di tenere conto delle risultanze della proposta formulata dalla commissione di conciliazione e non accettata dalle parti.

Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, non troveranno applicazione le disposizioni dettate dall'art. 410 del c.p.c..
In questo caso il processo verbale di avvenuta conciliazione va depositato presso la direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di una associazione sindacale.
A quel punto, il direttore, o un suo delegato, ne accerta l'autenticità e provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto.
Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

Massime relative all'art. 411 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 24024/2013

In materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali - della quale non ha valore equipollente quella fornita da un legale - sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evinca la questione controversa oggetto della lite e le "reciproche concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 cod. civ.

Cass. civ. n. 12781/2012

Per il principio di relatività dell'efficacia del contratto, accolto dall'art. 1372 c.c., la conciliazione giudiziale di una controversia attinente al rapporto di lavoro vincola solo gli stipulanti. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha respinto il ricorso del lavoratore che, avendo conciliato con l'azienda municipalizzata Centrale del Latte di Roma una controversia per superiore inquadramento, pretendeva di opporre la transazione al Comune di Roma, presso il quale era transitato a seguito di accordo sindacale prevedente la costituzione del rapporto "ex novo").

Cass. civ. n. 13217/2008

L'accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro, nel quale sia identificata la lite da definire ovvero quella da prevenire (unitamente, in tal caso, all'individuazione dell'interesse del lavoratore ) e che contenga lo scambio tra le parti di reciproche concessioni, è qualificabile come atto di transazione ed assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale ai sensi dell'art. 411, terzo comma, c.p.c., ove sia stato raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell'organizzazione sindacale indicati dal medesimo, dovendosi valutare, a tal fine, se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (nella specie, la S.C. ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli articoli 410 e 411 c.p.c. in quanto non sussisteva alcuna controversia tra le parti, la sola società datrice di lavoro aveva interesse a regolare i rapporti con i propri dipendenti nella prospettiva di trasformarsi in s.r.l., e il sindacalista, chiamato dalla società e non dal lavoratore, si era limitato ad elaborare i conteggi, restando estraneo alla vicenda e svolgendo un ruolo di testimone di operazioni elaborazioni di conteggi e di fatti ricostruzione della storia lavorativa del lavoratore che, lungi dal fornire una consapevole assistenza, era stato successivamente stigmatizzato dallo stesso sindacato di appartenenza ).

Cass. civ. n. 18343/2004

Ai fini dell'applicazione dell'art. 68 della legge professionale forense 27 novembre 1933, n. 1578, mentre la nozione di transazione della lite deve essere intesa nella più ampia accezione di ogni accordo che abbia l'effetto di estinguere la controversia senza l'intervento del giudice, anche se privo dei requisiti di sostanza e di forma del contratto disciplinato dagli art. 1965 e ss. c.c., ivi compresa, quindi, la conciliazione ai sensi dell'art. 411 c.p.c., presupposto ineludibile perché il difensore possa far valere per il pagamento degli onorari e per il rimborso delle spese l'obbligo solidale della parte avversa al proprio cliente è la sussistenza di «un giudizio» nel corso del quale le parti stipulino la transazione che lo definisca, senza soddisfare le competenze del professionista (nella specie, è stata esclusa la ricorrenza di tale presupposto nell'accordo stipulato, con verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c., tra la lavoratrice ed il datore di lavoro dopo che il giudizio tra le parti si era concluso in primo grado con sentenza avverso la quale, pur pendendo ancora il termine per proporre appello, nessuno dei litiganti aveva proposto gravame, in quanto, in un caso siffatto, al momento della stipula della conciliazione non era in corso un processo effettivo ed attuale — e non potenziale —, e cioè non vi era un «giudizio» in atto, ossia un valido rapporto processuale ed un rituale contraddittorio).

Cass. civ. n. 12858/2003

La conciliazione in sede sindacale prevista dall'art. 411, terzo comma c.p.c, presuppone che l'accordo sia raggiunto con un'ffettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale cioè di quella alla quale egli ha ritenuto di affidarsi. Peraltro, la determinazione delle modalità di composizione dell'organo conciliativo previsto dall'art. 411, terzo comma, c.p.c. deve intendersi devoluta alla contrattazione collettiva, non potendo trovare applicazione la disciplina prevista dal'art. 410 c.p.c. per le conciliazioni espletate dinanzi alle commissioni provinciali istituite presso l'Ufficio provinciale del lavoro. Pertanto, solo nel caso cui la disciplina collettiva abbia previsto come indispensabile l'appartenenza del rappresentante sindacale non solo alla organizzazione cui aderisce il lavoratore, ma anche l'inserimento del primo nella organizzazione locale dello stesso sindacato, è annullabile l'accordo raggiunto con l'assistenza di un sindacalista appartenente ad una diversa organizzazione locale.

Cass. civ. n. 17785/2002

Con riguardo alla speciale impugnativa della transazione tra datore di lavoro e lavoratore, prevista dall'art. 2113, terzo comma, c.c., l'intervento dell'ufficio provinciale del lavoro è in sé idoneo a sottrarre il lavoratore a quella condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro, che rende sospette di prevaricazione da parte di quest'ultimo le transazioni e le rinunce intervenute nel corso del rapporto in ordine a diritti previsti da norme inderogabili, sia allorché detto organismo partecipi attivamente alla composizione delle contrastanti posizioni delle parti, sia quando in un proprio atto si limiti a riconoscere, in una transazione già delineata dagli interessati in trattative dirette, l'espressione di una volontà non coartata del lavoratore. Consegue che anche in tale ultimo caso la transazione si sottrae alla impugnativa suddetta.

Cass. civ. n. 13910/1999

Una conciliazione sindacale, per essere qualificata tale ai fini degli artt. 411, terzo comma, c.p.c. e 2113, quarto comma, c.c., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore.

Cass. civ. n. 6558/1995

La transazione fra datore di lavoro e prestatore di lavoro, pur quando abbia ad oggetto diritti inderogabili di quest'ultimo, è validamente stipulata in sede sindacale ai sensi dell'art. 411 terzo comma, c.p.c., mentre le formalità previste da tale norma ai fini della verifica di autenticità dell'atto e del conferimento dell'efficacia esecutiva al verbale costituiscono adempimenti successivi estranei rispetto all'essenza negoziale della conciliazione. Ne consegue che la transazione contenuta in un verbale di conciliazione in sede sindacale sottoscritto da persona non munita del potere di rappresentare il datore di lavoro può essere successivamente ratificata da quest'ultimo e, ove ciò avvenga, è vincolante anche per il lavoratore, il quale prima della ratifica — come ogni altro «terzo contraente» in caso di contratto stipulato da rappresentante senza potere — può avvalersi della facoltà di fissare un termine alla controparte ai sensi dell'art. 1399 c.c.

Cass. civ. n. 3102/1990

Gli atti conciliativi che l'ispettore del lavoro poteva compiere a norma della L. n. 628 del 1961 non sono presidiati dalla stessa autorità ed efficacia preclusiva delle conciliazioni previste dall'art. 411 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 533 del 1973, con la conseguenza che possono costituire oggetto soltanto di eccezioni in senso proprio, le quali, nel regime processuale introdotto con tale ultima legge, soggiacciono alle decadenze di cui agli artt. 416 e 437 c.p.c.

Cass. civ. n. 1661/1984

La completa transazione della controversia mediante processo verbale di conciliazione in sede sindacale, reso esecutivo dal pretore, determina, ove intervenuta dopo la proposizione del ricorso per cassazione, il venir meno dell'interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio di legittimità, con conseguente dichiarazione — da parte della S.C. — di cessazione della materia del contendere.

Cass. civ. n. 2267/1983

La definizione della controversia raggiunta, in pendenza del giudizio di legittimità, avanti alle commissioni provinciali di conciliazione di cui all'art. 410 (nuovo testo) c.p.c. comporta il venir meno dell'interesse delle parti ad ottenere una decisione nel merito e, conseguentemente, la dichiarazione, da parte della Suprema Corte, della cessazione della materia del contendere.

Cass. civ. n. 3958/1982

La sopravvenuta definizione della controversia avanti alla commissione provinciale di conciliazione, istituita presso l'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a norma dell'art. 410 c.p.c. (nel testo introdotto dalla legge n. 533 del 1973), determina, anche in sede di legittimità, la cessazione della materia del contendere, in quanto fa venir meno la posizione di contrasto fra le parti in causa e, conseguentemente, la necessità della pronuncia giudiziale precedentemente richiesta; tale situazione determina, a sua volta, la sopravvenuta mancanza dell'interesse ad agire della parte ricorrente e, conseguentemente, l'improcedibilità del ricorso.

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Liberato R. chiede
venerdì 03/02/2012 - Campania
“In relazione all'art. 411, comma 3, del c.p.c., gradirei sapere il significato della seguente disposizione:"Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 410".
Ringrazio e porgo cordiali saluti.
Liberato Raccio”
Consulenza legale i 03/02/2012

Particolarmente diffuso nel mondo del lavoro è il ricorso alla conciliazione in sede sindacale, forma di conciliazione scelta, molte volte, in alternativa alle conciliazioni presso le Direzioni Provinciali del lavoro, al fine di evitare notevoli ritardi nella definizione delle controversie in materia di lavoro.

Il concetto di "sede sindacale" di cui all'art. 411 del c.p.c., comma 3, non è espressamente definito dal nostro legislatore. La giurisprudenza più costante, sia di merito che di legittimità, ha ritenuto che una conciliazione sindacale, per essere ritenuta tale ai sensi dell'art. 411 c.p.c. e dell'art. 2113 del c.c., comma 4, deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonchè dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore. In sostanza, non è richiesta la presenza o l'assistenza dell'organizzazione di categoria cui appartiene o abbia conferito mandato il datore di lavoro.

L'assistenza del rappresentante sindacale non deve limitarsi alla mera sottoscrizione del verbale ma deve intervenire nella attività di erudizione del lavoratore in merito alle rinunce che si appresta ad effettuare e nell'attività di accertamento diretta a valutare che la volontà del lavoratore si sia formata in piena autonomia.

L'accertamento del giudice del merito in ordine alla natura transattiva di una conciliazione sindacale che è sottratta alla invalidità e all'impugnabilità di cui all'art. 2113 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto, che , se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (così anche Cass. Civ. 1988/1806).