La definizione dei beni nel nuovo codice. Concetto giuridico di cosa. Proposte della Commissione reale per la riforma dei codici
Il codice del 1865 non conteneva una definizione delle cose o dei beni, pertanto il legislatore, prendendo spunto dai principali codici europei (in particolare tedesco ed austriaco), nel nuovo codice civile del 1942 ha voluto inserirne una spiegazione di carattere giuridico.
L’attuale testo dell’articolo in esame contiene una
definizione sintetica ed essenziale solamente dei “
beni”, senza che venga fatto un minimo accenno alle “
cose”. Non è stata infatti accolta una prima proposta tesa ad inserire all’interno del codice anche una definizione del concetto di cosa, poiché si è osservato che la cosa, a differenza del bene che è una entità giuridica, rappresenta invece una entità extra-giuridica.
Le cose che possono considerarsi beni
La
cosa, tuttavia, costituisce l’
oggetto indispensabile del bene, e va quindi intesa in senso molto ampio, come era per il vocabolo
res nel diritto romano. Con quest’ultima parola, infatti, i romani esprimevano i più svariati concetti: dalle entità materiali (
res quae tangi possunt) a quelle immateriali (
res quae tangi non possunt), a fatti, eventi, stati, situazioni, condizioni, crediti e più in generale ogni altro tipo di rapporto giuridico. Non a caso la parola
res risulta il termine con i più svariati significati di tutta la lingua latina.
In ottica giuridica, però, la categoria delle
cose ricomprende unicamente
quelle che possono cadere in nostro potere (termine che va inteso nel più ampio significato di “
signoria”), e che siano
idonee a soddisfare qualsiasi bisogno dell’uomo (caratteristica che in ambito economico viene denominata
ofelimità). Solo in presenza di tali presupposti la cosa viene considerata un bene. Non è necessario che essa sia sottoposta alla signoria di alcuno, ma è sufficiente che risulti suscettibile di esserlo. Per citare un esempio classico, gli
astra sono certamente cose, ma non possono essere beni; al contrario, sono invece beni le
res nullius, nonostante non siano sottoposte al potere di alcuno.
Non è neppure necessario che la cosa venga avvertita dai nostri sensi come
sostanza corporea (
res corporalis): essa, infatti, può essere anche un'
entità che viene concepita con l'intelletto (
res incorporalis). Fanno parte di tale ultima categoria in particolare i
beni immateriali, come ad esempio il diritto d'autore, i diritti della personalità umana, il marchio di fabbrica.
A metà tra le due citate categorie si colloca quella dei
fenomeni fisici che possono essere
captati e sottoposti alla volontà umana, come la corrente elettrica, le onde herziane, la radiocomunicazione, la radiodiffusione, le energie termiche e genetiche.
Infine vi sono sostanze come i gas, i vapori e altre emanazioni terrestri, che rappresentano una sotto-categoria delle cose corporali in quanto di natura aeriforme, e che sono pertanto ugualmente suscettibili di essere assoggettati al potere umano.
In conclusione, quindi, deve considerarsi “bene” ogni cosa che può essere oggetto di diritto.
Se i diritti possono considerarsi come cose. La costituzione di diritti su diritti nel codice del 1865 e nel nuovo codice
Il
codice del 1865 annoverava nella categoria dei beni immobili tanto alcune tipologie di diritti basandosi unicamente sul loro oggetto, tanto altri diritti perché così stabilito dalla legge.
Si trattava, però, di una
concezione confusa e di conseguenza molto discussa, in particolare la dottrina osservava che non potevano farsi rientrare nel concetto di cosa le manifestazioni di volontà umana e i diritti soggettivi, poiché questi ultimi costituiscono una tutela del bene.
In base all’attuale codice, se i diritti potessero considerarsi al pari delle cose, per elevarli a beni dovrebbero essere oggetto di altri diritti. Si finisce così per giungere alla combattuta questione se sia possibile costituire “
diritti sopra diritti”.
La dottrina tende a dare risposta affermativa a tale domanda. A sostegno di tale tesi si osserva infatti che, ad esempio, un diritto di credito può essere oggetto di un diritto di pegno o di un diritto di usufrutto; e che l'ipoteca si può costituire sull'usufrutto o sui diritti del concedente o dell'enfiteuta.
Anche l’
attuale codice pare confermare tale ricostruzione, avendo mantenuto alcune caratteristiche proprie del codice del 1865. All’
art. 813 c.c. è infatti ancora previsto che, salvo che dalla legge non risulti altrimenti, le disposizioni relative ai beni immobili si applicano anche ai diritti reali che hanno per oggetto beni immobili, e che le disposizioni relative ai beni mobili si applicano a tutti gli altri diritti. Si è voluto così porre fine alla classificazione dei diritti fra beni mobili e immobili, anche se nel linguaggio comune resterà sempre la duplice espressione di diritti mobiliari e di diritti immobiliari.
A ulteriore conferma che l’attuale codice civile non ha abbandonato la figura giuridica dei diritti sopra diritti si evidenzia che, sebbene non sia stato riprodotto il vecchio art. 482 del codice del 1865 ("usufrutto su rendita vitalizia"), l’odierno
art. 2784 c.c. annovera fra i beni che si possono dare in pegno i crediti e gli altri diritti aventi per oggetto beni mobili, e all'art. 2810 c.c. fra i beni che possono essere oggetto di ipoteca l'usufrutto dei beni immobili, il diritto dell' enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico. Ne consegue, pertanto, che permane ancora oggi la possibilità di costituire diritti sopra diritti.
Se i servizi si possono considerare come cose e rientrare nel concetto giuridico di beni
I
servizi, invece, non rientrano nel concetto di cose e nemmeno in quello di beni. Normalmente, infatti, il servizio (in particolare il servizio pubblico) si risolve in una
prestazione, la quale costituisce l’oggetto del
diritto di obbligazione, e non può conseguentemente costituire un diritto reale. Quanto ora osservato non incide comunque sul valore economico del servizio, che può essere anche di massima importanza, pur non rappresentando un bene dal punto di vista giuridico.