Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 3345 del 21 marzo 2000

(2 massime)

(massima n. 1)

La mera accettazione del trattamento di fine rapporto ancorché non accompagnata da alcuna riserva non può essere interpretata, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti derivanti dall'illegittimità del licenziamento, non sussistendo alcuna incompatibilità logica e giuridica tra l'accettazione di detto trattamento e la volontà di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, al fine di conseguire l'ulteriore diritto alla riassunzione o al risarcimento del danno. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta anche la concorrente motivazione della sentenza di merito circa l'irrilevanza della rinuncia a precedente impugnazione stragiudiziale in riferimento ad un licenziamento orale, non soggetto all'onere di impugnativa a pena di decadenza previsto dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966).

(massima n. 2)

Nel giudizio di impugnativa di un licenziamento, l'eccezione cosiddetta dell'aliunde perceptum — vale a dire la deduzione della rioccupazione del lavoratore licenziato al fine di limitare il danno da risarcire a seguito di un licenziamento illegittimo intervenuto nell'area della tutela reale, o anche a seguito di un licenziamento, intimato al di fuori di tale area, che sia inefficace, perché privo dei requisiti formali richiesti dall'art. 2 della legge n. 604 del 1966 (come nella specie, relativa a licenziamento orale in piccola impresa) — non costituisce un'eccezione in senso stretto, atteso che con essa non si introducono fatti diversi da quello che costituisce oggetto del giudizio per effetto della domanda dell'attore. Ne consegue che quando la prova della rioccupazione del lavoratore licenziato risulti ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore, il giudice ne deve tenere conto anche d'ufficio e, in difetto, l'omissione può formare oggetto di un motivo di gravame.

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