Cassazione civile Sez. III sentenza n. 2009 del 18 febbraio 1993

(1 massima)

(massima n. 1)

Nella liquidazione equitativa del danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica della persona in sé considerata, indipendentemente dalle ripercussioni che essa può comportare sulla capacità di lavoro e di guadagno del soggetto, non può essere utilizzato, come parametro di riferimento, il criterio indicato dall'art. 4 comma terzo del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857 - convertito in L. 26 febbraio 1977, n. 39 - che si riferisce al pregiudizio patrimoniale conseguente alla menomazione della capacità di produzione del reddito personale e non può, pertanto, servire a commisurare il danno conseguente alla menomazione degli attributi e requisiti biologici della persona, in sé e per sé considerata. Tale danno, che è indipendente dal ruolo che i predetti attributi e requisiti svolgono o potrebbero svolgere, sulla capacità di reddito della persona, è, invece, legato al valore umano perduto, restando, quindi, determinabile solo mediante la personalizzazione quantitativa (con aumenti o diminuzioni) o qualitativa (con scelta tipologica diversa) di parametri di riferimento in linea di principio uniformi per la generalità delle persone fisiche.

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