Cassazione civile Sez. III sentenza n. 15568 del 11 agosto 2004

(1 massima)

(massima n. 1)

La liquidazione del danno morale non può essere compiuta se non con criteri equitativi, tenendo conto della gravità del reato e del paterna d'animo subito dalla vittima. La concreta determinazione dell'ammontare del danno, che non può in ogni caso essere compiuta con riferimento ai valori medi adottati dall'ufficio giudiziario per casi consimili, rimane insindacabile in sede di legittimità qualora il giudice dia conto d'aver considerato questi fattori ed il giudizio sia congruente al caso (con adeguamento del danno alle singole realtà individuali in considerazione degli aspetti relazionali tra superstiti e defunto e conseguente riconoscimento ai parenti più prossimi o conviventi di un risarcimento maggiore, sul presupposto — desunto dalle comuni regole di esperienza — che quanto più stretto è il rapporto parentale tanto più intenso è il dolore, specie se al rapporto si associ la convivenza), e la determinazione non risulti palesemente sproporzionata per difetto od eccesso.

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