Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 5024 del 8 aprile 2002

(3 massime)

(massima n. 1)

Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui la condotta del lavoratore dipendente — in quanto attuativa di uno specifico ordine di servizio del datore di lavoro (o del dirigente preposto che ne faccia le veci) — finisca per configurarsi nell'eziologia. dell'evento dannoso come una mera modalità dell'iter produttivo del danno, tale condotta, proprio perché «imposta» in ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, concretizzantesi invece nella violazione di specifiche norme antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell'ordine di eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso.

(massima n. 2)

L'obbligo del datore di lavoro di garantire la salute del lavoratore in quanto bene primario e indisponibile sussiste anche in relazione alle condotte volontarie e di segno contrario del dipendente, sicché è configurabile, ai sensi dell'art. 2087 c.c., la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio subito da un dipendente per l'esercizio dell'attività lavorativa anche a fronte di una condotta imprudente di quest'ultimo, se tale condotta è stata determinata, o quanto meno agevolata, da un assetto organizzativo del lavoro non rispettoso delle norme antinfortunistiche, assetto conosciuto o colpevolmente ignorato dal datore di lavoro, che nulla abbia fatto per modificarlo al fine di eliminare ogni fonte di possibile pericolo.

(massima n. 3)

Non è configurabile una responsabilità contrattuale o extracontrattuale dell'assicuratore per non avere provveduto ad informare l'assicurato in ordine ai rischi della sua attività e alle misure più opportune per eliminarli o ridurli, né è ipotizzabile una violazione dei criteri di correttezza e buona fede previsti dagli artt. 1366, 1374 e 1375 c.c., atteso che la loro operatività è subordinata a specifiche previsioni contrattuali e non può comunque determinare un ampliamento o una riduzione degli obblighi scaturenti dal contratto al punto da snaturarne la causa.

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