Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 16347 del 24 luglio 2007

(2 massime)

(massima n. 1)

In relazione ai criteri di quantificazione dell'indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, l'art. 17 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti —  come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia Cee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04  — non impone un calcolo in maniera analitica, bensì consente l'utilizzo di metodi di calcolo diversi e, segnatamente, di metodi sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell'equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un'annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima. Ne consegue che l'art. 1751 c.c. deve interpretarsi nel senso che l'attribuzione dell'indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall'attività di promozione degli affari compiuta dall'agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell'attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest'ultimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, nella determinazione dell'indennità per la cessazione di un rapporto di agenzia, una volta accertata la permanenza di sostanziali vantaggi per la società preponente e individuato il limite massimo dell'indennità stessa in una annualità di provvigioni sulla base dell'ultimo quinquennio, aveva altresì tenuto conto della perdita di parte della clientela del portafoglio clienti dell'agente, così da ridurre equitativamente l'importo dovuto all'agente stesso in forza dell'art. .1751 c.c.).

(massima n. 2)

In tema di indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, a seguito dell'interpretazione data dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (con sentenza 23 marzo 2006, in causa C465/04) sulla portata degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, l'art. 1751, comma sesto, c.c., nel testo sostituito dall'art. 4 del D.L.vo 10 settembre 1991, n. 303 (attuativo della predetta direttiva comunitaria), va inteso nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. Ne consegue, pertanto, che l'indennità contemplata dall'Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 rappresenta per l'agente un trattamento minimo garantito, che può essere considerato di maggior favore soltanto nel caso che, in concreto, non spetti all'agente l'indennità di legge in misura inferiore.
(Nell'enunciare l'anzidetto principio di diritto, la S.C. ha, peraltro, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, eccepita in riferimento all'art. 39 Cost., dell'art.1751 c.c., interpretalo nel senso di sanzionare con la nullità le pattuizioni contenute nel Accordi economici collettivi, non potendosi ravvisare un conflitto tra attività sindacale e attività legislativa in assenza di una riserva di legge in favore delle organizzazioni sindacali e dovendosi ritenere che la norma sospettata di incostituzionalità costituisca un intervento legislativo dovuto ai sensi dell'art. 11 Cost.).

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