Cassazione civile Sez. V sentenza n. 22932 del 14 novembre 2005

(2 massime)

(massima n. 1)

Il principio secondo cui le ragioni poste a base dell'atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è un giudizio d'impugnazione dell'atto, sì che l'ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e modificare nel corso del giudizio la motivazione dell'atto, non esclude il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, né l'esercizio di poteri cognitori d'ufficio, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo d'impugnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativo di legittimità. (Nella fattispecie, l'ufficio finanziario aveva dedotto la simulazione di un'operazione consistente nella concessione del diritto di usufrutto su azioni possedute da una società estera ad una società residente nel territorio dello Stato, al fine di eludere il regime fiscale previsto dall'art. 27, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 per gli utili spettanti a soggetti non residenti: in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto che la negazione dell'esistenza o dell'efficacia del contratto che costituiva il presupposto della pretesa tributaria, o della sua opponibilità all'Amministrazione finanziaria, fosse sufficiente ai fini della qualificazione della fattispecie come contratto ad effetti meramente obbligatori, ma realmente voluto, ed utilizzato in funzione elusiva dell'imposta sul reddito). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Torino, 21 Dicembre 1999).

(massima n. 2)

Nella disciplina anteriore all'entrata in vigore dell'art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall'art. 7 del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, pur non esistendo nell'ordinamento fiscale italiano una clausola generale antielusiva, non può negarsi l'emergenza di un principio tendenziale, desumibile dalle fonti comunitarie e dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale. In riferimento all'ipotesi in cui una società estera titolare di partecipazioni azionarie abbia costituito sulle stesse un diritto di usufrutto in favore di una società residente nel territorio dello Stato, al fine di eludere il regime fiscale previsto dall'art. 27, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 per gli utili spettanti a soggetti non residenti (cosiddetto "dividend stripping"), l'applicazione del predetto principio si traduce in un difetto di causa che dà luogo alla nullità del contratto, non conseguendo dallo stesso alcun vantaggio economico per l'usufruttuario, ma solo un risparmio fiscale per il nudo proprietario. Tale mancanza di ragione, che investe nella sua essenza lo scambio tra le prestazioni contrattuali, comporta l'inefficacia del contratto nei confronti del fisco, escludendo il credito d'imposta previsto per l'usufruttuario dei titoli dall'art. 14 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo anteriore all'integrazione apportatavi dall'art. 7-bis del d.l. 9 settembre 1992, n. 372, conv. con modificazioni nella legge 5 novembre 1992, n. 429). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Torino, 21 Dicembre 1999).

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