Corte costituzionale ordinanza n. 748 del 30 giugno 1988

(1 massima)

(massima n. 1)

è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., la questione di legittimità costituzionale, esaminata per la prima volta, dell'art. 38, 3° comma, disp. att. c. c., nella parte in cui stabilisce che sulla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità il tribunale per i minorenni ; l'ordinamento conosce vari casi di provvedimenti decisori adottati in camera di consiglio, in cui la procedura è disposta anche in presenza di elementi della giurisdizione contenziosa (procedimento di separazione personale dei coniugi, interdizione, inabilitazione, assenza e dichiarazione di morte presunta: cfr. sent. n. 202 del 1975); la scelta discrezionale di tale procedimento nei casi suddetti risponde a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore ha compiuto in relazione alla natura degli interessi regolati ed all'opportunità di adottare determinate forme processuali (cfr. sent. n. 142 del 1970) e pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità costituzionale, nei limiti in cui, ovviamente, tale scelta non si risolva nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza poiché il procedimento in camera di consiglio, di per sé, contrasta con il diritto di difesa sancito dall'art. 24 cost. (cf. dec. n. 122 del 1966); d'altra parte, non risultando l'osservanza del diritto di difesa non preclude la possibilità che la relativa disciplina si conformi alle speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, purché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione, cioè la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti; nel procedimento speficicamente previsto dagli art. 269 segg. c. c. per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, la difesa è pienamente garantita non solo per ciò che riguarda l'instaurazione del contraddittorio (art. 274 e 276), ma anche con riferimento all'esperibilità di di prova (art. 269, 2° comma), il che rende possibile, diversamente da quanto sostenuto dal giudice a quo, ogni opportuna , così da far escludere la temuta riduzione delle .

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