Cassazione civile Sez. I sentenza n. 14022 del 25 ottobre 2000

(1 massima)

(massima n. 1)

Il rito adottato dal legislatore, con l'art. 9 della legge sul divorzio, ai fini della modificazione dell'assegno divorzile, risulta regolato, in via generale, dagli artt. 737 ss., c.p.c., e, quanto alle forme, in parte risulta disciplinato espressamente da tale normativa, mentre, nella parte non regolata, risulta rimesso nel suo svolgimento — che è attuato con impulso di ufficio — alla disciplina concretamente dettata dal giudice la quale dovrà garantire il rispetto del principio del contraddittorio e di quello del diritto di difesa. Da ciò deriva, quanto al procedimento di primo grado, che in esso non vigano le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario, con la conseguenza che in esso: 1) potranno essere proposte per tutto il corso di esso domande nuove, anche riconvenzionali, in conformità delle direttive dettate dal giudice nella gestione del processo, senza con ciò peraltro che la loro eventuale mancata proposizione possa impedirne la proposizione in separato giudizio; 2) potranno essere ammesse altresì prove nuove, anche in correlazione con i fatti sopravvenuti dedotti nel corso del processo; fatti che — peraltro — anche in questo caso il giudice dovrà e potrà prendere in esame se ed ove dedotti e sempre nei limiti delle domande proposte. Più in particolare trattasi di un procedimento svolgentesi nell'interesse delle parti ed anche nel quale — diversamente da quanto accade nel caso in cui si tratti di modifica dell'assegno di mantenimento di figli minori — vige il principio della domanda e della corrispondenza fra il «chiesto» ed il «pronunciato», investendo l'«officiosità del procedimento» unicamente il profilo dell'impulso al suo svolgimento, ed, in certa misura (ai sensi dell'art. 738, comma terzo) l'acquisizione di materiale probatorio. Quanto poi al giudizio di secondo grado nascente dal «reclamo», fermo che quest'ultimo costituisce un mezzo di impugnazione avente carattere «devolutivo» e come tale ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate ed in correlazione alle domande formulate in quella sede, in esso giudizio, mentre possono essere allegate — stante la libertà di forme proprie del procedimento — fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, in quanto queste ultime snaturerebbero la natura del reclamo quale mezzo di impugnazione e, come tale, avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento.

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