Cassazione civile Sez. Unite sentenza n. 159 del 12 gennaio 1998

(2 massime)

(massima n. 1)

Il diritto al trattamento di reversibilità, previsto, dall'art. 9, comma secondo, della legge n. 898 del 1970 nel testo novellato dall'art. 13 legge 6 marzo 1987, n. 74, a favore del coniuge divorziato, in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, purché il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio, e purché sussistano gli ulteriori requisiti della titolarità dell'assegno di divorzio e del mancato passaggio a nuove nozze, sorga nel coniuge divorziato, in via autonoma ed automatica, nel momento della morte del pensionato, in forza di un'aspettativa maturata, sempre in via autonoma e preventiva, nel corso della vita matrimoniale, sicché è insuscettibile di essere vanificato dal successivo decorso degli eventi relativi al rapporto matrimoniale. Esso — inoltre — non rappresenta la continuazione — mutato il debitore — del diritto all'assegno divorzile del quale era titolare nei confronti dell'ex coniuge avanti la sua morte, ma un autonomo diritto di natura squisitamente previdenziale, alla pensione di reversibilità, collegato automaticamente alla fattispecie legale, di modo che prescinde da ogni pronuncia giurisdizionale che, ove necessaria, ha natura meramente dichiarativa.

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(massima n. 2)

Nel caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, ai fini della determinazione (ex art. 9, comma terzo, della legge n. 898 del 1970, nel testo novellato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987) della quota da attribuirsi al coniuge divorziato (o — più puntualmente — ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato) non possono essere utilizzati criteri diversi da quello della «durata del rapporto» matrimoniale, ossia dal semplice dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l'ex coniuge deceduto. E tale durata del rapporto matrimoniale non può essere intesa che come coincidente con la durata legale del medesimo, e pertanto non possono assumere rilevanza, in pregiudizio del «coniuge divorziato», la eventuale cessazione della convivenza matrimoniale ancora prima della pronuncia di divorzio, o (in favore — questa volta — del «coniuge superstite») l'eventuale periodo di convivenza more uxorio con l'ex coniuge deceduto, che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matrimonio. Ne consegue che la quota della pensione di reversibilità spettante a ciascuno dei coniugi, non può che essere data dal rapporto tra la durata legale del suo matrimonio con l'ex coniuge e la misura costituita dalla somma dei due periodi matrimoniali, e che rimane preclusa l'adozione di qualsiasi altro criterio di valutazione, anche se in funzione di mera emenda o di mera correzione del risultato conseguito.

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