Cassazione civile Sez. I sentenza n. 4291 del 1 marzo 2005

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di divorzio, il provvedimento di assegnazione della casa familiare é revocabile solo in presenza di circostanze fattuali sopravvenute alla sentenza divorzile, e modificatrici della situazione da questa considerata, le quali costituiscono il proprium del giudizio di revisione di cui all'art. 9 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987. (In applicazione del principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato la decisione della corte di appello confermativa del decreto del tribunale che aveva motivato la disposta revoca del provvedimento di assegnazione della casa coniugale non gią in ragione della verificazione di un evento posteriore alla sentenza di divorzio, tale da giustificare la revisione di detto provvedimento, ma alla stregua della insussistenza, nella specie, del presupposto dell'assegnazione stessa, individuato nella necessitą di assicurare la continuitą dell'abitazione ai figli conviventi minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, in quanto mancavano figli conviventi con l'ex coniuge assegnatario).

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(massima n. 2)

La disposizione dell'art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, come modificato dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, lą dove sancisce l'osservanza del procedimento in camera di consiglio (artt. 737 e ss. c.p.c.) per la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alla modalitą dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6, si riferisce anche alla revisione delle disposizioni relative all'assegnazione della casa familiare al coniuge pił debole, la quale costituisce una modalitą di assetto dei rapporti tra i divorziati da comprendere nel concetto giuridico di “contributi” indicato nell'enunciazione dell'art. 9, il cui rinvio agli artt. 5 e 6, disposto nell'ultima parte del primo comma, per essere totale, comprende anche l'assegnazione della casa familiare.

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