Consiglio di Stato Sez. IV sentenza n. 1609 del 19 marzo 2013

(4 massime)

(massima n. 1)

Il danno da mobbing è una fattispecie che va fatta risalire, quanto alla natura giuridica, alla responsabilità datoriale, di tipo contrattuale, prevista dall'art. 2087 del codice civile che pone a carico del datore di lavoro l'onere di adottare nell'esercizio di impresa tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro.

(massima n. 2)

Il concetto di mobbing sia in punto di fatto che in punto di diritto è alquanto indeterminato, ancorché, quanto ad una ragionevole sua definizione, possa considerarsi tale quell'insieme di condotte vessatorie e persecutorie del datore di lavoro o comunque emergenti nell'ambito lavorativo concretizzanti la lesione della salute psico-fisica e dell'integrità del dipendente e che postulano, ove sussistenti, una adeguata tutela anche di tipo risarcitorio. Attesa la indeterminatezza della nozione, la giurisprudenza si è preoccupata di indicare una serie di elementi e/o indizi caratterizzanti il fenomeno del mobbing dai quali far emergere la concreta sussistenza di una condotta offensiva nei sensi sopra esposti, come tradottasi con atti e comportamenti negativamente incidenti sulla reputazione del lavoratore, sui suoi rapporti umani con l'ambiente di lavoro e sul contenuto stesso della prestazione lavorativa.

(massima n. 3)

Per aversi mobbing, l'azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente posta in essere con una serie prolungata di atti e avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi. Di contro, non si ravvisano gli estremi del mobbing nell'accadimento di episodi che evidenziano screzi o conflitti interpersonali nell'ambiente di lavoro e che per loro stessa natura non sono caratterizzati da volontà persecutoria essendo in particolare collegati a fenomeni di rivalità, ambizione o antipatie reciproche che pure sono frequenti nel mondo del lavoro.

(massima n. 4)

Non può configurarsi la sussistenza di una condotta di mobbing suscettibile di una pretesa risarcitoria nel caso in cui il dipendente pubblico sia stato solo destinatario di una serie di provvedimenti che hanno inciso negativamente sulle sue posizioni giuridiche soggettive e alcuni dei quali sono stati censurati come illegittimi in s.g. In particolare, i provvedimenti recanti sanzioni disciplinari e l'attribuzione di una valutazione in sede di rapporto informativo ingiustificatamente peggiorativa, non possono rilevare di per sé alcun indizio sintomatico del mobbing e cioè l'esistenza di un atteggiamento sistematicamente persecutorio o vessatorio, a nulla rilevando che l'interessato abbia avuto un'aspecifica "percezione" che tali vicende manifestino l'intento dell'Amministrazione di emarginarlo ed essendo gli episodi sottesi ai provvedimenti adottati a suo carico unicamente riconducibili al clima di conflittualità esistente tra il personale.

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