Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 2603 del 2 marzo 2018

(2 massime)

(massima n. 1)

Gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. In tale ambito le norme contenute nel D.lgs. n. 165 del 2001, art. 19, obbligano l'Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., restando la scelta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (sia pure con il vincolo del rispetto di determinati elementi sui quali la selezione deve fondarsi), al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale (Cass. 23 settembre 2013, n. 21700 e Cass. 30 settembre 2009, n. 20979).

(massima n. 2)

Ne deriva che, in base agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost., la PA è tenuta - fra l'altro - ad adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte, sicché laddove tale regola non è rispettata, è configurabile un inadempimento contrattuale della PA, suscettibile, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile (Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21671; Cass. 14 aprile 2008, n. 9814; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088).

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