Consiglio di Stato Sez. IV sentenza n. 2889 del 3 maggio 2019

(1 massima)

(massima n. 1)

In tema di revocazione, la "svista" che ne autorizza e legittima la proposizione del rimedio, tendenzialmente eccezionale anche nei casi di c.d. revocazione ordinaria, è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero dall'omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale. Infatti, non v'è dubbio che l'errore di fatto revocatorio debba cadere su atti o documenti processuali. Non è ammissibile un ricorso per revocazione proposto avverso una sentenza di revocazione. In particolare il divieto di impugnare per revocazione una decisione che si è pronunciata su un ricorso per revocazione si giustifica perché l'ordinamento intende evitare che la definizione di una lite sia oggetto di ripetute contestazioni (spesso pretestuose), che impediscano la formazione di una statuizione idonea a concludere definitivamente la controversia. Il medesimo divieto non si applica unicamente quando la domanda di revocazione sia stata dichiarata inammissibile "per ragioni formali" insussistenti, che abbiano precluso il suo esame, cioè quando la stessa statuizione di inammissibilità si sia basata su un errore di fatto (ad es., quando il ricorso per revocazione sia stato dichiarato erroneamente inammissibile per irritualità della sua notifica). Va esclusa l'applicabilità della norma di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c. - richiamata dalla norma di rinvio di cui all'art. 17 D.Lgs. n. 104/2010; ne consegue che, ad eccezione dell'ipotesi del dolo del giudice o, comunque, dell'ipotesi in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, i magistrati che hanno pronunciato la sentenza impugnata per revocazione possono legittimamente far parte del collegio investito della cognizione del giudizio revocatorio.

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