Consiglio di Stato Sez. Ad. Plen. sentenza n. 7 del 24 aprile 2012

(6 massime)

(massima n. 1)

Sussiste il diritto dei singoli associati Siae all'ostensione delle delibere assembleatiche dell'ente. Infatti, la normativa interna della Siae conferisce all'associato in quanto tale un ruolo di membro attivo di quel determinato corpo sociale, ai cui funzionamento può cooperare in svariate funzioni, e dal quale è destinato a ricevere una serie di benefici ulteriori rispetto a quelli per i quali si è richiesta l'iscrizione e, di conseguenza, non può sostenersi che al singolo associato non spetterebbe altra posizione personale, sfera di interesse o status, che non sia riconducibile alla "ripartizione dei proventi dei diritti d'autore tra gli aventi diritto".

(massima n. 2)

La disciplina dell'accesso agli atti amministrativi non condiziona l'esercizio del relativo diritto alla titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno, quale il diritto soggettivo del soggetto che ha conferito un capitale in una società commerciale, essendo sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata. Infatti, la legittimazione all'accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all'impugnativa dell'atto.

(massima n. 3)

Fin dalle prime pronunce del Consiglio di Stato sull'interpretazione dell'art. 22, L. n. 241/1990, è stata riconosciuta la legittimazione del Codacons ad esercitare il diritto di accesso ai documenti dell'Amministrazione in relazione ad interessi che pertengono ai consumatori e utenti di pubblici servizi. Cionondimeno, la disposizione di cui all'art. 22, co. 1, L. n. 241/1990, pur riconoscendo il diritto di accesso a "chiunque vi abbia interesse" non ha tuttavia introdotto alcun tipo di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sulla Amministrazione, tant'è che ha contestualmente definito siffatto interesse come finalizzato alla "tutela" di situazioni giuridicamente rilevanti". Del resto, anche l'art. 2 del primo regolamento attuativo della legge, con riferimento all'accesso, approvato con d.P.R. 27 n. 352/1992, ha chiarito che l'interesse che legittima la richiesta di accesso, oltre ad essere serio e non emulativo, deve essere "personale e concreto", ossia ricollegabile alla persona dell'istante da uno specifico nesso, occorrendo che il richiedente intenda difendere una situazione di cui è portatore, qualificata dall'ordinamento come meritevole di tutela, non essendo sufficiente il generico e indistinto interesse di ogni cittadino alla legalità o al buon andamento della attività amministrativa.

(massima n. 4)

Con la L. n. 15/2005, non solo è stato introdotto nell'art. 24 della L. n. 241 del 1990, il co. 3, secondo cui sono inammissibili istanze di accesso "preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni", ma anche e, soprattutto, si è meglio definita la figura del soggetto "interessato" all'accesso, come quello che - come era già prescritto - abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, ma anche che - ed è questa l'innovazione - tale situazione sia "collegata al documento al quale è chiesto l'accesso". La puntualizzazione chiarisce che, per stabilire se sussiste il diritto all'accesso, occorre avere riguardo al documento cui si intende accedere, per verificarne l'incidenza, anche potenziale, sull'interesse di cui il soggetto è portatore. In altri termini, essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è condizione sufficiente perché l'interesse rivendicato possa considerarsi "diretto, concreto e attuale", essendo anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento.

(massima n. 5)

In tema di divieto di accesso agli atti, ciò che sottrae il documento all'accesso non è, o non è solo, la sua puntuale appartenenza ad una categoria "nominata", bensì l'oggettiva messa in pericolo degli interessi pubblici, tutelati dalla legge, derivante dall'accesso al medesimo, in ragione della sua natura, del suo contenuto, delle sue modalità di acquisizione e/o di formazione, ovvero della sua ulteriore utilizzazione da parte dell'amministrazione.

(massima n. 6)

L'articolata disciplina degli atti esclusi dall'accesso, contenuta nell'art. 24 comma 2 L. 7 agosto 1990 n. 241, nell'art. 8 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352 e nei regolamenti adottati dalle singole Amministrazioni (nel caso di specie, trattasi del D.M. 603/ 1996), si risolve nella formulazione, in via generale ed astratta, di un giudizio di pericolosità fondato sulla presunzione dell'idoneità dell'ostensione degli atti ascrivibili alle tipologie dei documenti amministrativi contemplate dalle previsioni regolamentari a pregiudicare le categorie di interessi generali classificati dalla normativa primaria come preminenti rispetto al confliggente interesse privato all'accesso. Ne consegue che, a fronte della richiesta di conoscenza di documenti riconducibili ad una delle categorie degli atti predetti, resta preclusa all'Amministrazione (e in sede giurisdizionale al giudice) qualsivoglia valutazione discrezionale della pericolosità in concreto dell'ostensione di quegli atti (essendo già stata la stessa definita in astratto, con forza normativa).

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