Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3009 del 8 marzo 1991

(1 massima)

(massima n. 1)

In assenza di una specifica definizione legislativa, il sigillo può essere costituito da qualsiasi segno esteriore e percettibile (bollo, timbro in ceralacca, strisce di carta, cartelli, fili di ferro e così via) che in modo anche simbolico, e quindi senza necessità di rendere inaccessibile o di racchiudere in congegni materiali la res serbanda, valga a manifestare la volontà pubblica di intangibilità di una determinata cosa mobile o immobile al fine di assicurarne la conservazione, l'identità e la consistenza oggettiva. Ne consegue che il delitto di violazione di sigilli sussiste e si perfeziona non solo nel caso di rottura o di rimozione dei sigilli propriamente detti, ma anche quando si infrange il divieto che i sigilli simboleggiano e cioè con qualsiasi condotta che sia idonea a rendere frustranea l'assicurazione della cosa e ad escludere il vincolo di immodificabilità che su di essa è imposto. (Nella specie si è ritenuto che rientri nella condotta sopra descritta il caso del proprietario custode di una costruzione abusiva che, reso edotto del divieto di immutare lo stato dell'opera, impartitogli per iscritto pedissequamente al decreto di sequestro ed evidenziato dall'esposizione di cartelli, prosegua egualmente nei lavori abusivi, anche se non proceda alla materiale eliminazione dei lavori stessi).

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