Cassazione penale Sez. V sentenza n. 4554 del 14 aprile 1987

(3 massime)

(massima n. 1)

Ai fini dell'esimente dello stato di necessità occorre, che l'azione delittuosa sia commessa per evitare un pericolo che abbia il carattere dell'attualità. Questo requisito postula anzitutto che il pericolo sia presente quando il soggetto agisce e che sia imminente il danno che ne possa derivare, ma appunto perciò implica anche che si tratti di un pericolo che nel momento in cui il fatto venga compiuto sia già individuato e circoscritto e cioè precisamente delineato nel suo contenuto e oggetto, nonché nei suoi effetti. Di conseguenza non è sufficiente che l'azione delittuosa venga attuata nell'aspettativa che possano essere evitati pericoli che non abbiano i suddetti connotati e che siano invece meramente eventuali e futuri, possibili o anche probabili, al contrario, al fine dell'applicazione della causa di giustificazione, occorre un preciso e indefettibile collegamento causale tra la necessità di sacrificare un interesse penalmente protetto e lo scopo di evitare uno specifico e determinato pericolo e l'agente dunque può andare esente da pena soltanto quando il suo comportamento, che altrimenti costituirebbe un'offesa criminosa, sia stato causato dalla necessità urgente di evitare un pericolo del genere indicato e con esso un danno grave alla persona già ben individuato all'atto stesso in cui si agisce. (Fattispecie in cui l'esimente dello stato di necessità, in relazione al delitto di tentata violenza privata, era stata invocata adducendo che le informazioni che si volevano ottenere dal soggetto passivo del reato avrebbero potuto evitare i pericoli all'incolumità delle persone e alla collettività nazionale che derivavano dall'attività terroristica delle Brigate Rosse).

(massima n. 2)

Il delitto di violenza privata tende a garantire non la libertà fisica o di movimento, bensì la libertà psichica dell'individuo e perciò si realizza quando l'agente, col suo comportamento violento o intimidatorio, eserciti una coartazione, diretta o indiretta, sulla libertà di volere o di agire del soggetto passivo, così da costringerlo a una certa azione, tolleranza od omissione. Presupposto essenziale del delitto è dunque la preesistenza di una libertà di determinazione e di azione di chi subisce la condotta criminosa e il reato deve ritenersi consumato nel momento in cui il soggetto passivo, a seguito della violenza o della minaccia, sia rimasto costretto contro la sua volontà a fare, tollerare o omettere qualche cosa, mentre si ha soltanto tentativo, sempre che ne ricorrano tutti gli altri requisiti, allorché non sia stato raggiunto l'effetto voluto. Questo effetto è quello che l'agente si propone di realizzare e si identifica pertanto anche nella prospettiva psicologica, con lo scopo di costringere altri a tenere un determinato comportamento, senza che abbiano rilievo rispetto a quello immediatamente perseguito, fini ulteriori o mediati e tanto meno i particolari motivi dell'azione.

(massima n. 3)

In tema di violenza privata l'azione deve considerarsi unica anche in presenza di una pluralità di atti tipici, quando questi si presentino offensivi del medesimo interesse tutelato e si svolgano in unico contesto.

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