Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1342 del 6 febbraio 1987

(1 massima)

(massima n. 1)

Ai fini della configurabilità del reato di sequestro di persona, deve prescindersi dall'esistenza nell'offeso di una capacità volitiva di movimento e istintiva di percezione della privazione della libertà per cui tale delitto è ipotizzabile anche nei confronti di infermi di mente o di paralitici. Se, però, l'azione repressiva della libertà di movimento viene imposta e attuata, nei limiti strettamente indispensabili allo scopo, nell'esercizio di «potestà disciplinari», esplicate principalmente nell'ambito della convivenza familiare, quali, ad esempio, l'attività di custodia di alienati, oggi delegata ai familiari, l'assistenza di interdetti per incapacità di intendere e di volere affidati alla assistenza e sorveglianza dei tutori, vigilanza di anormali, di infermi soggetti ad imprevedibili reazioni o movimenti, ecc... rimane esclusa la punibilità dell'ipotesi delittuosa in esame, o comunque viene a mancare l'intenzionalità del compimento di un attentato all'altrui libertà. Tale punibilità è esclusa anche in presenza di modalità di attuazione del potere-dovere di custodia e sorveglianza, che introducano ingiustificati trattamenti trasmodanti il legittimo esercizio di esso, le quali non possono trasferire, di per sé, il riprovevole comportamento sotto lo schema delittuoso del sequestro di persona, ma, qualora tale comportamento sia integrativo di una ipotesi di reato — nella specie maltrattamenti in famiglia — sarà eventualmente punibile sotto tale diverso titolo.

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