Cassazione penale Sez. I sentenza n. 886 del 22 gennaio 1980

(1 massima)

(massima n. 1)

L'art. 386 del c.p., punendo al primo comma colui che procura o agevola l'evasione di una persona legalmente arrestata o detenuta, prevede un delitto che può concretarsi in due distinte forme di attività, la prima diretta allo svolgimento di un ruolo determinante e di primo piano nella preparazione immediata o nell'esecuzione dell'evasione e la seconda intesa invece a favorire la fuga, predisponendo i mezzi opposti o assicurando gli aiuti necessari allo scopo. Poiché in entrambe le forme l'attività delittuosa deve essere finalizzata all'evasione della persona arrestata o detenuta, il delitto in questione consiste in un fatto di compartecipazione al reato di evasione, di cui all'art. 385 c.p., che la legge ha incriminato automaticamente, con la previsione di una specifica figura di reato, allo scopo di punirlo più gravemente, almeno di norma, di quanto non avverrebbe con l'applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato. Per la configurabilità del delitto previsto dall'art. 386 c.p., nelle forme, a seconda dei casi, del reato consumato o tentato, è sempre necessario che la persona arrestata o detenuta effettivamente evada o tenti di evadere o che comunque abbia quanto meno la sicura volontà di evadere; ma quando l'evasione si sia verificata, è anche sufficiente, perché il delitto si realizzi nella forma dell'agevolazione, che l'agente abbia promesso allo scopo la sua assistenza o il suo aiuto, a nulla invece rilevando che i mezzi materiali in questo senso predisposti non si siano rivelati in concreto necessari o utili alla fuga.

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