Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 5230 del 7 marzo 2007

(3 massime)

(massima n. 1)

Il canone costituzionale della ragionevole durata del processo, coniugato a quello dell'immediatezza della tutela giurisdizionale, orienta l'interpretazione dell'art. 420 bis c.p.c. nel senso che tale disposizione trova applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in quello d'appello, in sintonia con le scelte del legislatore delegato (D.L.vo n. 40 del 2006), che, più in generale, ha limitato la possibilità di ricorso immediato per cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d'appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell'impugnazione immediata delle sentenze non definitive rese in primo grado. Conseguentemente, la sentenza resa, come nella specie, in grado di appello, e non riconducibile nel paradigma dell'art. 420 bis c.p.c., non è inficiata da nullità venendo in rilievo l'inapplicabilità del particolare regime dell'impugnazione della sentenza mediante ricorso immediato per cassazione quale canone speciale rispetto alle regole generali che presiedono alla disciplina del ricorso per cassazione e, trattandosi di sentenza che non definisce, neppure parzialmente, il giudizio, il ricorso deve dichiararsi inammissibile, ex artt. 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c. Né appare frustrato l'affidamento che le parti possono aver riposto nella decisione della Corte territoriale emessa nel contesto processuale dell'art. 420 bis c.p.c., atteso che l'interesse ad un giudizio di impugnazione sulla sentenza resa dal giudice di appello è salvaguardato dall'applicabilità del secondo periodo del terzo comma dell'art. 360 c.p.c., come novellato dall'art. 2 del D.L.vo n. 40 del 2006 che prevede che avverso le sentenze che non definiscono il giudizio e non sono impugnabili con ricorso immediato per cassazione, può essere successivamente proposto il ricorso per cassazione, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.

(massima n. 2)

Il nuovo istituto introdotto dall'art. 420-bis cod. proc. civ. presuppone che la controversia devoluta alla cognizione del giudice di merito ponga una questione interpretativa, sull'efficacia o validità della contrattazione collettiva nazionale, rilevante nel giudizio e di non agevole soluzione, potendo mutuarsi il "decisum" della Corte Costituzionale (Corte Cost. n.233 del 2002) in riferimento all'art. 64 del D.Lgs. n.165 del 2001 - cui il legislatore delegato del 2006 si è ispirato sulla scia delle innovazioni processuali preordinate a valorizzare la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione nella contigua area delle controversie di lavoro pubblico privatizzato -, secondo il quale "presupposto per l'applicazione della procedura in esame è, come evidente, l'esistenza di un reale dubbio interpretativo, concernente la clausola contrattuale della quale il giudice deve fare applicazione nella controversia". Anche la procedura in esame può, quindi, essere utilizzata solo nei casi in cui la clausola contrattuale sia di contenuto oscuro e possa prestarsi a diverse e contrastanti letture interpretative, oppure sia sospettabile di nullità o inefficacia.

(massima n. 3)

Il nuovo art. 146-bis disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall'art. 19 del D.Lgs. n. 40 del 2006, segna il parallelismo tra l'istituto processuale introdotto dall'art. 420-bis cod. proc. civ. con quello già disegnato dall'art. 64 del D.Lgs. n. 165 del 2001, prevedendo l'applicazione, in quanto compatibile, del citato art. 64, commi 4, 6, 7 e 8. Conseguentemente, in pendenza del giudizio davanti alla Corte di Cassazione, possono essere sospesi, trattandosi di sospensione facoltativa e non già necessaria, i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi.

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