Cassazione civile Sez. III sentenza n. 13253 del 6 giugno 2006

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di trasporto marittimo, dalla complessiva ricognizione delle definizioni poste nell'art. I e delle norme previste negli artt. II e III della Convenzione internazionale per l'unificazione di alcune regole in materia di polizza di carico, firmata a Bruxelles il 25 agosto 1924 e modificata dai Protocolli del 1968 e del 1979 (complesso normativo denominato comunemente Regole dell'Aja-Visby), si evince che l'oggetto di disciplina di tale Convenzione è il trasporto per mare, per tale intendendosi un rapporto contrattuale che comprende come momento iniziale le attività preliminari al carico delle merci per come regolate nell'art. III (cosiddetta operazione di caricazione) e come momento finale quelle che si concretano nella cosiddetta scaricazione, cioè nello scarico nel porto di arrivo e nella consegna ivi della merce senza soluzione di continuità, ovvero con una soluzione temporale di continuità fra scarico e consegna, ma senza che abbia luogo, dopo lo scarico, lo svolgimento di un'attività ulteriore di trasporto rispetto al trasporto per mare, che non sia quella esclusivamente funzionale ad una consegna, sempre nel porto di scarico, differita nel tempo rispetto allo scarico dalla nave e concretantesi, pertanto, solo nella custodia (a cura diretta o a cura indiretta del vettore) nello stesso luogo (costituito appunto dal porto di scarico), e, quindi, con esclusione di un trasporto via terra in un luogo diverso dal porto stesso. Ne consegue che, in difetto di accordo convenzionale delle parti estensivo dell'applicazione della Convenzione, ammesso dall'art. VII della stessa, deve escludersi che un contratto di trasporto che preveda, oltre ad un tratto compreso fra la caricazione e scaricazione così intese, tratti di trasporto anteriori o successivi, possa ritenersi regolato dalla Convenzione (in particolare quanto alle limitazioni di responsabilità) e deve ritenersi che il problema di individuazione della disciplina applicabile non sia risolvibile sulla base del principio di qualificazione del rapporto secondo il criterio cosiddetto della prevalenza, in quanto l'applicazione di tale criterio si concreterebbe in un allargamento della regolamentazione sovranazionale al di fuori di quanto essa prevede (che deve reputarsi di stretta interpretazione, comportando una sovrapposizione al diritto interno, che l'Ordinamento tollera solo per via pattizia diretta), ma debba essere risolto sulla base del cosiddetto criterio della combinazione delle discipline, di modo che il rapporto resta soggetto alla disciplina della Convenzione soltanto per la tratta compresa fra le dette operazioni e resta, invece, regolato dalla disciplina applicabile al tipo di trasporto, diverso da quello marittimo, per le fasi anteriori e successive. (Sulla base di tale principio la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse escluso l'applicazione del limite di responsabilità di cui all'art. IV, paragrafo V, della Convenzione in un caso in cui il danno alla merce trasportata si era verificato in un luogo esterno all'ambito portuale, dove il container che la conteneva era stato trasportato dal vettore ed ivi custodito in attesa della consegna all'avente diritto).

(massima n. 2)

Nella disciplina della cessione di crediti, la legge prescinde dallo scopo per cui si attua il trasferimento di crediti e si interessa unicamente dei suoi effetti, di modo che la struttura e l'essenza del contratto non muta qualunque ne sia lo scopo (a titolo oneroso, a titolo gratuito o a titolo di garanzia). Pertanto, il cessionario che agisca per ottenere l'adempimento del debitore è tenuto a dare la prova del negozio di cessione, quale atto produttivo di effetti traslativi, ma non anche a dimostrare la causa della cessione o il corrispettivo per essa pattuito, come si evince, oltre che dal silenzio sul punto della disciplina della cessione nel codice civile, anche da un preciso elemento normativo in essa contenuto nell'art. 1265 c.c. in tema di soluzione del conflitto fra più cessionari dello stesso credito in riferimento alla posizione del debitore ceduto. Infatti, poiché la norma stabilisce che «se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata accettata prima dal debitore con atto di data certa, ancorché essa sia di data posteriore» e, dunque, così prevede che un negozio di cessione privo di causa nei rapporti fra le parti cedente e cessionaria perché posto in essere da un cedente che non è più titolare del credito per averlo ceduto possa, ciononostante, divenire efficace nei confronti del debitore ceduto, se notificato o accettato (nel modo indicato) prima dal debitore ceduto, in tal modo si ha conferma che il cessionario, quando agisce nei confronti del debitore ceduto, deve provare la cessione ma non la sua causa. D'altro canto, il debitore ceduto - a cui, dato il carattere astratto del negozio di cessione, sono indifferenti vizi inerenti al rapporto causale sottostante non può interferire nei rapporti tra cedente e cessionario, in quanto il suo interesse si concreta nel compiere un efficace pagamento liberatorio; egli è soltanto abilitato ad indagare sull'esistenza e sulla validità estrinseca e formale della cessione, specie quando questa gli sia stata notificata dal solo cessionario.

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