Cassazione civile Sez. I sentenza n. 14376 del 8 luglio 2005

(2 massime)

(massima n. 1)

Con riguardo agli atti costitutivi di garanzia per debito altrui (nella specie, costituzione di pegno su titoli da parte di una società a garanzia delle obbligazioni contestualmente assunte da altra società del medesimo gruppo in dipendenza di contratti di leasing), la presunzione di onerosità prevista per l'azione revocatoria ordinaria dall'art. 2901, secondo comma, c.c. — in forza del quale le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso quando sono contestuali al sorgere del credito garantito — si applica anche alla revocatoria fallimentare, considerate, da un lato, l'identità della natura e del fondamento giuridico delle due azioni; e, dall'altro, la circostanza che il carattere oneroso della prestazione di garanzia va apprezzato, non nella sola prospettiva del fallito garante, ma anche in quella del creditore, rispetto al quale la costituzione della garanzia, ove contestuale all'erogazione del credito, si pone in naturale relazione di corrispettività con quest'ultima. Né la presunzione in parola può ritenersi logicamente incompatibile con l'inclusione fra gli atti soggetti a revocatoria fallimentare, in base all'art. 67 legge fall., sia di prestazioni di garanzia non contestuali (primo comma, nn. 3 e 4) che contestuali (secondo comma), e la separata previsione nell'art. 64 legge fallim. dell'inefficacia degli atti a titolo gratuito: l'art. 2901, secondo comma, c.c. fissa, infatti, una presunzione di onerosità per le prestazioni di garanzia contestuali, ma non stabilisce affatto una presunzione di gratuità per le prestazioni non contestuali, la cui onerosità o meno va dunque apprezzata caso per caso. (In applicazione dell'enunciato principio, la Corte di cassazione ha quindi escluso che atti del genere di quello impugnato possano ritenersi inefficaci a norma dell'art. 64 legge fall., quali atti a titolo gratuito, salva la loro eventuale revocabilità a norma dell'art. 67, secondo comma, della stessa legge: conclusione resa esplicita dalla modifica di quest'ultima disposizione operata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35). *

(massima n. 2)

Nel caso di riunione di un procedimento civile ordinario soggetto al rito previsto per i giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995 ad altro procedimento introdotto prima di tale data, anche ammettendo, in via di ipotesi, che tale riunione abbia determinato l'adozione, per la causa piú recente, di un rito diverso da quello stabilito dalla legge, si deve escludere che ciò comporti, di per sè, effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla e può essere impugnata - deducendo, come motivo di impugnazione, l'errore consistito nell'utilizzazione di un diverso rito processuale - soltanto ove si indichi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato, per aver inciso sulla determinazione della competenza, ovvero sul contraddittorio o sui diritti di difesa. (Alla luce dell'enunciato principio, la Corte di cassazione ha ritenuto quindi superflua, nella specie, ogni ulteriore considerazione riguardo al fatto che la diversità di rito non è ostativa alla riunione delle cause in simultaneo processo).

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