Cassazione penale Sez. V sentenza n. 4407 del 15 aprile 1998

(3 massime)

(massima n. 1)

Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 591 c.p. (abbandono di persone minori o incapaci), non è penalmente apprezzabile l'atto con il quale il direttore sanitario di una clinica — presso cui è ricoverato, in trattamento sanitario non obbligatorio, un soggetto affetto da schizofrenia e diabete mellito — dispone che rimanga sempre aperto il cancello di ingresso pedonale della clinica, appositamente custodito da un operatore, atteso che la custodia va adeguata alle innovazioni introdotte con la legge 13 maggio 1978, n. 189, che vieta la coazione strutturale e prevede, per il trattamento sanitario volontario, il ricovero dell'ammalato in strutture aperte con l'utilizzazione di servizi alternativi. (Fattispecie nella quale il soggetto si era allontanato dalla clinica attraverso il cancelletto pedonale, eludendo la sorveglianza dell'operatore, ed era stato rinvenuto cadavere nella campagna circostante a seguito di un decesso attribuito a collasso cardiocircolatorio, conseguente a coma diabetico).

(massima n. 2)

L'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sull'agente, da cui derivi uno stato di pericolo per l'incolumità della persona, incapace di provvedere a sè stessa per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o altra causa. Venendo in considerazione un reato di pericolo, che non può essere commesso da chiunque, ma soltanto dal soggetto qualificato dal rapporto di protezione che lo lega alla vittima, la condotta deve essere oggettivamente idonea a determinare, anche in via potenziale, l'aggressione del bene protetto dalla norma incriminatrice. Ne consegue, che il criterio giuridico di determinazione del fatto oggettivo, necessario per accertare se una determinata azione o omissione costituisca abbandono di persona incapace, deve essere correlato, da una parte, alla pericolosità del fatto e, dall'altra parte, al contenuto dell'obbligo violato e alla natura dell'incapacità. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha escluso la configurabilità del reato di cui all'art. 591, commi 1 e 3, c.p., in capo al direttore sanitario ed al custode di una clinica, in relazione al caso di una donna affetta da schizofrenia, in fase però di remissione, che, allontanatasi dalla clinica, era deceduta in seguito a collasso cardiocircolatorio).

(massima n. 3)

Nell'ambito del trattamento sanitario non obbligatorio di persone incapaci, la custodia del malato, finalizzata a soddisfare esigenze di ordine individuale, sociale e giuridico, comprese quelle di prevenzione di atti autolesivi ed eterolesivi, deve essere conciliata con la libertà terapeutica e la dignità del malato; nell'esercizio del potere-dovere di cura e di custodia, è legittimo trattenere il soggetto che manifesti, anche con la fuga, l'intenzione di allontanarsi dal luogo di ricovero volontario, facendo ricorso alla forza fisica quale brevis et modica vis imposta dalla circostanza per sottrarre l'incapace al pericolo di gravi danni e per pretendere la sottoscrizione dell'atto di formale interruzione della degenza contro la volontà del medico. (Fattispecie in cui è stato affermato che l'incaricato della vigilanza del cancello di ingresso di una clinica ha l'obbligo di intervenire per impedire, anche con la modica vis imposta dalle circostanze che un ammalato si allontani senza il permesso dei medici e senza il previo accertamento delle sue condizioni psichiche, pur escludendo, in fatto, la sussistenza della omessa custodia rilevante ex art. 591 c.p.).

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