Cassazione penale Sez. I sentenza n. 10258 del 19 ottobre 1988

(1 massima)

(massima n. 1)

Nei reati la cui procedibilità a querela di parte dipende dal mancato raggiungimento di determinati limiti nella progressione dell'evento e/o dell'assenza di particolari circostanze, il tentativo — in mancanza di specifica normativa — non può che adeguarsi alle regole che disciplinano la procedibilità dell'omologo reato consumato e, quindi, a tal fine si deve tenere conto della eventuale già intervenuta realizzazione di quelle specifiche circostanze e dell'evento che si sarebbe prevedibilmente verificato ove fosse andata a termine l'azione dell'autore, con riferimento al caso concreto, cioè considerando non solo la condotta del medesimo autore ma anche i mezzi impiegati ed ogni altra circostanza di tempo, di luogo e di persona che avrebbero potuto concretamente, secondo il criterio dell'id quod plerunque accidit, avere una incidenza sulla misura o sulla specie dell'evento. Pertanto, nel delitto di lesioni volontarie, che è perseguibile a querela di parte ove il termine di guarigione non superi i venti giorni ed ove non ricorrano le circostanze indicate nell'art. 582 cpv. c.p., la procedibilità del tentativo rimane condizionata alla proposizione della querela della persona offesa solo se, con giudizio fondato sulle prevedibili conseguenze, in concreto valutate, e tenuto conto dei mezzi adoperati nonché di ogni altra utile circostanza, sia da ritenere che ove fosse stato raggiunto l'effetto mirato dell'agente, ne sarebbero conseguite lesioni di durata non superiore a venti giorni e sempreché non sia stata realizzata alcuna delle circostanze aggravanti previste dal citato capoverso dell'art. 582 c.p. Ove un concreto prognostico superi i 20 giorni, il delitto tentato è perseguibile di ufficio. Nei casi incerti, il principio per cui in dubio pro reo rende il tentativo di lesioni, delle quali non è possibile ipotizzare in concreto prognosi sui termini di guarigione, reato procedibile a querela.

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