Cassazione civile Sez. II sentenza n. 1366 del 11 aprile 1975

(1 massima)

(massima n. 1)

La successione per rappresentazione costituisce un caso di vocazione indiretta in ragione della quale la posizione dell'erede rappresentante si determina in base al contenuto (luogo e grado) della vocazione del chiamato (rappresentato), nel presupposto determinante e qualificante che egli non possa o non voglia venire alla successione, e nei limiti soggettivi specificamente dettati dagli artt. 467 e 468 c.c. I suddetti limiti richiedono per la rappresentazione in linea retta che il c.d. rappresentato sia figlio (senza distinzione tra figli legittimi, legittimati, adottivi, naturali) del de cuius, e che il c.d. rappresentante sia discendente anche naturale del rappresentante, e per la rappresentazione in linea collaterale che il c.d. rappresentato sia fratello o sorella del de cuius e che il c.d. rappresentante sia discendente naturale del medesimo (tenendo anche presente la sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 1969, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. — oltre che dell'art. 577 — limitatamente alla parte in cui esclude dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, a sua volta figlio o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare, non lasci o non abbia discendenti legittimi). È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto sono stabiliti limiti soggettivi, in tema di rappresentazione, a proposito sia del rappresentato sia del rappresentante.

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