Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 10386 del 14 luglio 1989

(1 massima)

(massima n. 1)

Il peculato per appropriazione di denaro o cosa mobile, appartenenti alla P.A., si realizza ogni qualvolta il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che ne ha il possesso per ragioni di ufficio, converta nelle proprie disponibilità — per un tempo minimo, purché apprezzabile — la cosa stessa anche se ciò avvenga con l'intenzione di restituirla e che poi effettivamente sia restituita. Qualora, invece, il pubblico funzionario prelevi il denaro o la cosa mobile e contestualmente li sostituisca con denaro dello stesso valore nominale o con cose aventi la medesima attitudine funzionale, viene a mancare l'elemento materiale del reato de quo, perché il predetto funzionario nulla converte nel proprio patrimonio e nessun interesse dello Stato-Amministrazione è correlativamente intaccato, salvo a realizzare con la predetta condotta, a seconda dello scopo illecito che si prefigga di raggiungere un diverso titolo di reato, ove ne ricorrano i presupposti. (Nella fattispecie un geometra dell'ufficio tecnico di un comune si era appropriato della testina rotante a carattere Livius di una macchina da scrivere elettrica, di cui si era valso per la redazione di uno scritto anonimo, sostituendola con un'altra testina a carattere Silvia, al fine di poter conservare l'anonimato, potendo attraverso la perizia dattilografica disposta dal giudice di merito, essere individuato quale autore dell'anonimo realizzandosi così l'ipotesi della frode processuale ex art. 374 c.p. e non già quella di peculato per appropriazione).

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