Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 8008 del 24 agosto 1993

(1 massima)

(massima n. 1)

L'efficacia intimidatrice di una frase, che la fa qualificare, a seconda dei casi, come reato di cui all'art. 336, o all'art. 337 ovvero all'art. 612 c.p., è direttamente proporzionale all'attuabilità del danno, che ne formi oggetto. Di conseguenza, se il male minacciato si presenta ex se, non concretamente realizzabile, non è configurabile alcuna aggressione, penalmente rilevante, alla sfera psichica del soggetto passivo. Se, però, il profferire alcune parole apparentemente minacciose manifesta, e raggiunge, l'intento dell'agente di esprimere il proprio disprezzo per l'interlocutore, esso integra, a seconda dei casi, gli estremi del reato di cui all'art. 341 o di quello di cui all'art. 594 c.p. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto che la minaccia dell'imputato di sodomizzare gli agenti operanti non presentasse alcuna oggettiva attitudine ad intimorire, ma costituisse una plateale offesa al loro prestigio e, dunque, integrasse il reato di cui all'art. 341 c.p.).

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