Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3032 del 13 marzo 1987

(2 massime)

(massima n. 1)

Ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui all'art. 572 c.p., è particolarmente rigoroso per il giudice l'obbligo della motivazione, poiché occorre dimostrare che tutti i fatti sono tra loro connessi e cementati in maniera inscindibile dalla volontà unitaria, persistente e ispiratrice di una condotta insistita nella finalità criminosa. Infatti, il reato di maltrattamenti è «reato a condotta plurima», in quanto è tutta la condotta dell'imputato che deve essere considerata come caratterizzata da una serie o insieme di azioni od omissioni finalizzate e quale comportamento assunto a sistema e distinto dal nesso di abitualità fra i vari fatti, con assoluta esclusione della mera occasionalità e del dolo d'impeto, isolato e frammentario.

(massima n. 2)

Il reato di maltrattamenti è reato abituale poiché è caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti i quali, isolatamente considerati, potrebbero anche non costituire delitto, ma che rinvengono la ratio dell'antigiuridicità penale nella loro reiterazione, che si protrae nel tempo, e nella persistenza dell'elemento intenzionale. Pertanto, poiché i fatti debbono essere molteplici e la reiterazione presuppone un arco di tempo che può essere più o meno lungo, ma comunque apprezzabile, la consumazione del reato si perfeziona con l'ultimo di questa serie di fatti. (Nella specie la Suprema Corte ha disatteso la tesi, sostenuta dal ricorrente, relativa al rinvenimento della competenza per territorio nel luogo ove aveva avuto inizio la consumazione e motivata dall'assimilabilità del reato abituale a quello permanente).

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