Cassazione civile Sez. I sentenza n. 10229 del 18 ottobre 1997

(2 massime)

(massima n. 1)

L'art. 807, comma terzo, c.p.c., nel dichiarare applicabili al compromesso (e, per il principio di autonomia che lo contraddistingue, alla clausola compromissoria) le disposizioni che regolano la validità dei contratti eccedenti l'ordinaria amministrazione, non esclude, in via di principio, il potere del direttore generale (eventualmente in via congiunta con altro dirigente, quale un direttore centrale) di stipulare clausole compromissorie riferite a contratti alla cui conclusione egli risulti legittimamente autorizzato. In tema di attività di impresa, il criterio discretivo tra «ordinaria» e «straordinaria» amministrazione non può, difatti, ritenersi quello del carattere cosiddetto «conservativo» dell'atto posto in essere (valido, al contrario, in relazione all'amministrazione del patrimonio dell'incapace), essendo, al contrario, necessariamente sotteso alle vicende imprenditoriali il compimento di atti di disposizione di beni, con la conseguenza che l'indicata distinzione va fondata sulla relazione in cui l'atto si pone con la gestione «normale» (e, quindi, «ordinaria») del tipo di impresa di cui si tratta (ed in considerazione delle dimensioni in cui essa viene esercitata). Se, pertanto, gli atti che modificano le strutture economico-amministrative sostanziali dell'azienda sono da considerarsi di «straordinaria amministrazione», la stipulazione di una clausola compromissoria non può, ex se, qualificarsi come tale, con la conseguenza che (tanto un amministratore, quanto) lo stesso direttore generale della società deve ritenersi abilitato alla stipulazione della clausola predetta non soltanto per effetto di una specifica attribuzione di potere in tal senso (da parte dell'assemblea o per disposizione dell'atto costitutivo) ma anche se detto potere inerisca alla stessa natura dei compiti affidatigli (come nel caso di autorizzazione alla conclusione di determinati contratti in nome e per conto della società).

(massima n. 2)

Nel giudizio di delibazione di un lodo arbitrale straniero, incombe sulla parte nei cui confronti sia chiesta la delibazione, a norma dell'art. 5 comma primo lett. a) della Convenzione di New York, l'onere di provare che le parti stipulanti la clausola compromissoria «erano per la loro legge incapaci», ovvero che la clausola medesima non poteva considerarsi «valida secondo la legge alla quale si riferisce e, in mancanza di indicazioni in proposito, secondo la legge del Paese ove è stata pronunziata la sentenza». La capacità cui allude la disposizione in esame (prevista, in via di normalità, con riferimento ad enti destinati a svolgere rapporti commerciali di rilevanza nazionale) deve, poi, essere correlata non solo alla mera capacità di agire della persona fisica, ma ad ogni tipologia di capacità, tanto di agire quanto giuridica (sotto il profilo delle cosiddette incapacità giuridiche speciali) delle persone, sia fisiche che giuridiche (con particolare riguardo, per queste ultime, agli aspetti della cosiddetta «immedesimazione» organica ed ai connessi poteri rappresentativi) e con onnicomprensiva estensione agli aspetti della correlata legittimazione. Ne consegue, ancora, che, dettando la citata Convenzione di New York una disciplina, completa ed autosufficiente, dei presupposti sostanziali e processuali dell'exequatur di un lodo straniero da parte degli Stati aderenti, è da ritenersi necessario il riferimento alla legge italiana in tutti i casi in cui una delle parti risulti di tale nazionalità, onde accertarne i necessari requisiti di capacità in ordine alla stipula della clausola compromissoria. (Fattispecie relativa alla stipula di una clausola compromissoria da parte del direttore generale e del direttore centrale di una società per azioni aventi capacità di concludere contratti relativi a beni mobili, ma non anche legittimati a compiere atti di straordinaria amministrazione: la S.C., nel confermare la pronuncia della corte di merito affermativa della validità del lodo arbitrale straniero, ha sancito il suindicato principio di diritto, sulla scorta della ulteriore considerazione che, nell'ambito dell'esercizio dell'attività di impresa, la stipula di una clausola compromissoria riferita ai contratti per i quali esista legitimatio ad stipulandum non possa essere annoverata tra gli atti «eccedenti» l'ordinaria amministrazione - con relative conseguenze in tema di autorizzazione da parte dell'organo deliberativo dell'ente).

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