Cassazione civile Sez. Unite sentenza n. 2827 del 30 ottobre 1973

(2 massime)

(massima n. 1)

... La regola dettata dall'ultimo comma dell'art. 905, c.c. — secondo la quale la distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi non si applica quando tra i due fondi vicini ci sia una via pubblica — è applicabile anche alle vie private gravate da servitù di uso pubblico, cioè alle cosiddette vicinali, ma non pure alle vere e proprie strade private, gravate da servitù di passaggio in favore di terzi uti singuli.

(massima n. 2)

La giuridica impossibilità di costruire sul confine, in cui eventualmente versi il soggetto che lamenta il mancato rispetto delle distanze legali da parte del vicino, mentre determina il difetto di interesse ad agire con riguardo all'osservanza delle distanze nelle costruzioni, non produce alcuna conseguenza quando si lamenti l'illegittima apertura di vedute. La differenza di trattamento delle due ipotesi si spiega considerando che, mentre le regole sulle distanze fra costruzioni rispondono alla esigenza di garantire la misura dell'edificabilità del fondo - di guisa che la ragione della tutela viene meno quando quella misura di edificabilità sia già esclusa per altre ragioni - la imposizione di determinate distanze per le vedute realizza, invece, interessi del fondo limitrofo o dei suoi proprietari indipendenti dalla sua utilizzazione edificatoria, onde l'inesistenza di questa non esime il proprietario del fondo, nel quale le vedute devono venire aperte, dall'osservanza delle distanze prescritte.

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