Cassazione penale Sez. III sentenza n. 3445 del 3 aprile 1995

(2 massime)

(massima n. 1)

È configurabile il reato di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 11 c.p., e non di appropriazione indebita di uso, nel caso in cui l'amministratore e i soci di maggioranza, avvalendosi della loro posizione di ingerenza e di direzione di una società, abbiano rimosso, dal luogo ove erano custoditi, documenti contenenti disegni industriali-tecnici della società medesima (destinati a rimanere segreti o, quanto meno, riservati) li abbiano fotocopiati, li abbiano rimessi al loro posto ed abbiano passato le fotocopie ad una società concorrente, che abbia usufruito della tecnologia così indebitamente acquisita. (Nella specie, la S.C. ha osservato che l'appropriazione del documento era solo una modalità per acquisire le notizie tecniche ivi contenute e il conseguire la fotocopia era, per il fine degli agenti, equipollente al possesso dell'originale, che una volta riprodotto, veniva ricollocato al suo posto privo di ogni valore intrinseco e finanziabile se non quello, irrisorio del supporto cartaceo: l'uso fattone, assolutamente non legittimo, pur non deteriorando materialmente il documento, ne aveva approvato il valore costituendo un totale svuotamento della utilizzazione dell'oggetto; sicché, dal momento che con l'impossessamento, pur momentaneo, e con la conseguente fotocopiatura gli agenti hanno tratto ogni possibile godimento dell'oggetto — sì che la restituzione del documento privo di valore si potrebbe ritenere un post factum penalmente irrilevante —, si esula dalla configurabilità di un'appropriazione indebita di uso).

(massima n. 2)

In caso di estinzione del reato, il giudice (per la prevalenza, del favor innocentiae sul favor rei) deve accertare la possibilità di una assoluzione nel merito. Tale indagine non è conferente in presenza di cause di non procedibilità poiché per il contenuto meramente processuale della relativa sentenza, non è prevista una analoga soluzione. (Nella specie la S.C., rilevato che rispetto alle esigenze di una declaratoria di non procedibilità la sentenza offre una motivazione esorbitante sul merito e sulla consistenza dell'accusa, ha tuttavia osservato che da tale superflua motivazione non derivano i danni paventati dai ricorrenti, poiché l'art. 652 c.p.p. limita alla sentenza penale di assoluzione efficacia nel giudizio civile o amministrativo di danno, ed esclude tale efficacia alle pronunzie di improcedibilità; inoltre l'art. 654 c.p.p. conferisce efficacia di giudicato esclusivamente alle sentenze dibattimentali di condanna o di assoluzione, sicché le sentenze di proscioglimento rimangono escluse dall'ambito di efficacia del giudicato penale sancito da tale norma (di qui la carenza di interesse a proporre impugnazione).

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