Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 10137 del 25 settembre 1998

(2 massime)

(massima n. 1)

Il reato di rifiuto di atti di ufficio — anche nella nuova formulazione introdotta dall'art. 16 della L. 26 aprile 1990, n. 86 — consiste nel mancato adempimento di un'attività doverosa, per il compimento della quale è fissato un termine unico finale e non soltanto iniziale, essendo il soggetto obbligato all'adempimento appena possibile, sicché la consumazione del reato si verifica nel momento stesso in cui si è verificata l'omissione o è stato opposto il rifiuto. L'agente è quindi punibile per reato istantaneo senza che abbia nessun rilievo l'ininterrotta protrazione dell'inattività individuale, giacché la legge non riconosce alcuna efficacia giuridica a detta persistenza e nemmeno all'eventuale desistenza.

(massima n. 2)

La nullità insanabile della sentenza che la norma dell'art. 525, secondo comma, c.p.p. ricollega alla mancata partecipazione anche parziale dei giudici che l'hanno pronunciata all'istruttoria dibattimentale non si verifica qualora innanzi al medesimo collegio del tribunale si sia svolta l'intera istruttoria, anche se si tratti di collegio in composizione diversa da quella innanzi al quale si era svolta l'udienza fissata nel decreto di citazione a giudizio, senza che sia necessaria anche la rinnovazione della medesima citazione, previo rinvio del dibattimento, perché anche in tal caso risulta pienamente realizzata l'esigenza che la deliberazione della sentenza avvenga a opera dello stesso giudice che ha partecipato all'istruzione dibattimentale.

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