Cassazione penale Sez. I sentenza n. 2181 del 3 marzo 1995

(4 massime)

(massima n. 1)

Ai fini del calcolo del termine di durata massima della custodia cautelare occorre fare riferimento esclusivamente alla contestazione contenuta nel capo d'imputazione e non della eventuale diversa quantificazione della pena conseguente a modifiche normative; infatti il principio del favor rei contenuto nell'art. 2, comma 1, non si estende al diritto processuale ed in particolare alle norme che disciplinano le materie delle misure cautelari. (Nel caso di specie all'indagato era stata contestata la violazione dell'art. 73 D.P.R. del 9 ottobre 1990 n. 309 ed il ricorrente sosteneva che in particolare all'epoca di commissione del reato, doveva applicarsi l'art. 71 L. 22 dicembre 1975 n. 685. La Corte ha rigettato il ricorso affermando che solo all'atto del giudizio si sarebbe potuto individuare la norma più favorevole da applicare anche con riferimento all'eventuale applicazione delle attenuanti speciali previste dall'art. 73 n. 5 e n. 7 L. 9 ottobre 1990 n. 309).

(massima n. 2)

Deve considerarsi abnorme il decreto di archiviazione pronunciato dal giudice per le indagini preliminari il quale, respinta in un primo momento la richiesta del pubblico ministero, la accolga successivamente, all'esito del disposto incidente probatorio, senza aver prima provveduto a restituire gli atti al medesimo pubblico ministero per le sue determinazioni; in tal modo, infatti, non solo il giudice pronuncia senza la richiesta del titolare dell'azione penale, ma priva altresì la parte offesa del potere di contrastare la eventuale richiesta di archiviazione, in violazione del principio del contraddittorio.

(massima n. 3)

Per l'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 112, n. 1, c.p., è sufficiente che i concorrenti siano in numero di due persone, in quanto la dizione «persone» indicata dalla norma include anche il dirigente, promotore od organizzatore dell'attività dei concorrenti nel reato.

(massima n. 4)

Si verifica attentato alla pubblica incolumità nello specifico ambiente di lavoro — oggetto e ratio dell'art. 437 c.p. — allorché la realizzazione della condotta descritta in detta norma sia tale da porre in pericolo non già un'indefinita massa di persone estranee all'ambiente di lavoro, ma unicamente le persone che si trovano sul posto di lavoro

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