Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 17 del 21 settembre 2000

(7 massime)

(massima n. 1)

Il vizio di motivazione di un'ordinanza dibattimentale diversa da quella dichiarativa della contumacia non può mai tradursi in una ragione di nullità del giudizio, specie quando il giudice abbia ribadito la decisione dibattimentale con la sentenza conclusiva, rielaborandone l'apparato giustificativo.

(massima n. 2)

In ipotesi di contestazione, in unico capo di accusa, di imputazione di associazione per delinquere o di singoli episodi di fatti di reato, alla cui realizzazione il sodalizio criminoso sia ritenuto finalizzato, il giudice del merito, qualora ritenga non provato il reato associativo, ben può affermare la responsabilità per uno o più tra i reati fine, purché il «fatto» sia compiutamente descritto, nelle sue componenti oggettive e soggettive, anche se sia stata omessa la specifica indicazione della disposizione che prevede e punisce il reato fine.

(massima n. 3)

In tema di intercettazione, captazione e registrazione di colloqui telefonici o tra presenti, ovvero di flussi di comunicazioni informatici o telematici, una volta concluso il subprocedimento di ascolto, selezione e acquisizione delle conversazioni e dei flussi con l'esecuzione delle conseguenti operazioni di trascrizione o di stampa, secondo le regole dettate dall'art. 268 c.p.p., non è consentito, salvo eccezionali ipotesi che, per quanto riguarda il giudizio di appello, sono regolate dall'art. 603 stesso codice, chiedere un nuovo ascolto delle conversazioni o una nuova presa di cognizione dei flussi informatici.

(massima n. 4)

La mancanza di motivazione dei decreti che autorizzano o prorogano le operazioni di intercettazioni telefoniche o tra presenti, di quelli che convalidano i decreti emessi in caso d'urgenza dal pubblico ministero, nonché di questi ultimi, comporta l'inutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative. Nell'occasione, la S.C. ha avuto modo di precisare che si ha mancanza della motivazione non solo quando l'apparato giustificativo manchi in senso fisico-testuale, ma anche quando la motivazione sia apparente, semplicemente ripetitiva della formula normativa, del tutto incongrua rispetto al provvedimento che dovrebbe giustificare; mentre si ha difetto della motivazione - emendabile dal giudice cui la doglianza venga prospettata, sia esso il giudice del merito che deve utilizzare i risultati delle intercettazioni, sia esso quello dell'impugnazione nella fase di merito o in quella di legittimità - allorché quest'ultima sia incompleta, insufficiente, non perfettamente adeguata, affetta da vizi che non negano, né compromettono la giustificazione, ma la rendono non puntuale.

(massima n. 5)

La motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione. (Fattispecie concernente provvedimenti di autorizzazione all'intercettazione di conversazioni e di proroga delle originarie autorizzazioni, in relazione ai quali la S.C. ha affermato che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di motivazione, è sufficiente che dalla lettura del provvedimento si possa dedurre l'iter cognitivo e valutativo seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati, che devono essere conformi alle prescrizioni di legge con la precisazione ulteriore, per i provvedimenti di proroga, che essi possono scontare un minore impegno motivazionale quanto ai presupposti, se accertati come ancora sussistenti, ma devono ugualmente dar conto della ragione di persistenza dell'esigenza captativa).

(massima n. 6)

Poiché il ricorso a intercettazioni telefoniche nel corso di indagini relative a delitti di criminalità organizzata è consentito in presenza di sufficienti indizi di reato (e non di colpevolezza) e quando le stesse risultino «necessarie» (e non «indispensabili») per il proseguimento delle indagini, in ipotesi di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti sono da ritenere idonee a integrare il requisito della sufficienza degli indizi di reato le informazioni legittimamente acquisite dagli organi di polizia giudiziaria, riferite al P.M. e da questo poste a fondamento della richiesta di autorizzazione alle intercettazioni.

(massima n. 7)

Poiché l'art. 610, comma secondo, c.p.p., nel contemplare i casi di assegnazione del ricorso alle sezioni unite, non prevede la possibilità di separata definizione dei relativi motivi, come invece espressamente stabilito per il giudizio civile, sussistendone le condizioni, dalla norma, di natura eccezionale e specifica, di cui all'art. 142 disp. att. c.p.c., il ricorso, una volta assegnato alle sezioni unite, deve essere da queste definito interamente, senza che sia possibile una decisione limitata ad alcune questioni dedotte e con la contestuale riserva di definizione di quelle residue alla sezione semplice, dal momento che il meccanismo di assegnazione predisposto dal citato art. 610, identico per la sezione semplice come per le sezioni unite, induce a ritenere che nel sistema legislativo queste ultime altro non siano che una sezione, quantunque composta da magistrati provenienti dalle varie sezioni semplici, sicché l'assegnazione del ricorso comporta la decisione su di esso, e non su una o più questioni tra quelle con esso dedotte.

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