Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 6422 del 1 giugno 1994

(8 massime)

(massima n. 1)

Il diritto alla prova riconosciuto alle parti dall'art. 190, primo comma, c.p.p., implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito e che sfugge al sindacato di legittimità, quando abbia formato oggetto di apposita motivazione che abbia dato conto del provvedimento adottato attraverso una spiegazione immune da vizi logici e giuridici. (Nella fattispecie la corte ha affermato l'insindacabilità della decisione del giudice di merito che, sulla base della posizione assolutamente negativa assunta dal coimputato di prestare il proprio contributo di conoscenze e che avrebbe reso comunque inattendibile - nel caso, del tutto teorico in cui il suo atteggiamento fosse mutato - il successivo atto di ricognizione, ha ritenuto di non procedere al compimento di detto atto).

(massima n. 2)

Il valore della ricognizione fotografica eseguita dalla polizia giudiziaria, per sé meramente indiziario, viene totalmente meno ove la ricognizione di persona, successivamente eseguita in sede di incidente probatorio, dia esito negativo, potendo conservare valenza indiziaria al riconoscimento fotografico solo la dimostrazione che il detto esito negativo sia l'effetto di un mendacio. Da ciò deriva, a corollario, che l'individuazione consente un'oggettiva ripetibilità attraverso il corrispondente strumento di acquisizione probatoria e, dunque, come ad essa non possa essere assegnato il valore di atto (contenutisticamente) non ripetibile.

(massima n. 3)

In applicazione del principio generale nemo contra se detegere - un principio operante in ogni «ipotesi in cui l'inquisito viene posto a contatto diretto con l'autorità procedente», così da «rafforzare la libertà morale dell'imputato per sollevarlo dallo stato di soggezione psicologica in cui possa venire a trovarsi a cospetto dell'autorità e per porlo a riparo da eventuali pressioni che su di lui possano essere esercitate - l'imputato può rifiutarsi di eseguire una ricognizione.

(massima n. 4)

L'esame dell'imputato del coimputato o di imputato connesso o collegato, valendo a ricomprendere, quale atto tipicamente dichiarativo, ogni fonte consistente in una dichiarazione, ivi compresa la ricognizione che, quale dichiarazione riproduttiva di una percezione visiva mirata, rappresenta soltanto una specie del più generale concetto di dichiarazione, comporta, ex se, in caso di rifiuto, l'utilizzabilità degli atti assunti nella fase anteriore al dibattimento.

(massima n. 5)

L'individuazione è contrassegnata dalla sua necessaria immediatezza che, mentre, per un verso, ne designa, almeno sul piano fenomenico, una maggiore efficacia dimostrativa, per un altro verso, la rende operante entro termini di «rischio» che il pubblico ministero ha l'onere di valutare: lo comprova sia la sua natura di atto «non garantito» dalla partecipazione del difensore sia l'impossibilità per la parte privata di precluderne l'espletamento attraverso la riserva di assunzione di un mezzo di prova, una riserva in altri casi consentita solo riconoscendo l'esistenza del diritto all'acquisizione anticipata della prova stessa.

(massima n. 6)

La ricognizione, pur costituendo un'operazione procedimentale a struttura complessa, non si presenta, relativamente a colui che è chiamato ad effettuare il riconoscimento, con connotazioni diverse dalla dichiarazione, sia pure designata da specifici dati di qualificazione, perché comunque collegati ad un dato gnoseologico diretto ad una verifica individuativa. E ciò soprattutto quando chiamato ad aver parte attiva nella procedura sia non un testimone ma un coimputato ovvero un imputato in reato conneso o collegato, riguardo al quale non operano, ovviamente, le disposizioni di cui all'art. 499 c.p.p., applicabili, invece, agli altri soggetti che procedono a ricognizione.

(massima n. 7)

Pur essendo incontestabile che l'individuazione è «un puro atto di indagine finalizzato ad orientare l'investigazione, ma non ad ottenere la prova» ed esaurisce, dunque, «i suoi effetti all'interno nella fase in cui viene compiuta» (v. Corte costituzionale, sentenza n. 265 del 1991, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell'art. 364 c.p.p., «nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi contemplata si applichi all'individuazione cui debba partecipare la persona sottoposta alle indagini»), è anche vero che un regime di tal genere presuppone che sia possibile nella fase del dibattimento espletare il mezzo di prova corrispondente e cioè la ricognizione. Quando, invece, l'atto è divenuto irripetibile per il rifiuto opposto dal coimputato di rendere alcuna dichiarazione, ne è consentita l'utilizzazione ai fini previsti dall'art. 526, primo comma, c.p.p. E ciò in forza dell'art. 238, terzo comma, c.p.p., nel testo sostituito dall'art. 3, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, che autorizza «comunque» l'acquisizione della documentazione di atti che, anche per cause sopravvenute, non sono ripetibili, sia in forza del combinato disposto degli artt. 511 bis c.p.p., inserito dallo stesso decreto legge, e 511, secondo comma del codice, in un contesto normativo che, attraverso il veicolo della lettura, rende possibile l'utilizzazione a fini di prova dei detti atti. Una linea, quella ora ricordata, già tracciata dalla giurisprudenza di questa corte quando, relativamente ai risultati dell'individuazione disposta dal pubblico ministero per l'immediata prosecuzione delle indagini, ha ritenuto che, integrando nella sostanza sommarie informazioni assunte dal pubblico ministero, si tratta di atti utilizzabili anche nell'istruzione dibattimentale con la procedura delle contestazioni, qui non potuta espletare per il rifiuto opposto dai coimputati.

(massima n. 8)

Tra individuazione e ricognizione non sussiste alcun rapporto di alternatività, cosicché, una volta disposta la prima, non potrebbe mai procedersi alla seconda. Ove, infatti si seguisse una simile linea interpretativa si sovrapporrebbero surrettiziamente le nozioni di atto non rinviabile e di atto non ripetibile, risultando l'individuazione, come tale, sempre ripetibile (salvo che l'oggetto di esso sia nel frattempo venuto meno) attraverso il «mezzo di prova» rappresentato dalla ricognizione. (In motivazione la corte ha precisato come la nozione di atto irripetibile non vada intesa, in senso assoluto, quasi come un dato ontologico come quello derivante dall'essere l'acquisizione collegata alla natura di mezzo di ricerca della prova che contrassegna la fonte, trovandocisi, invece, in presenza di un assetto probatorio in cui il vincolo relazionale che, almeno di norma, è istituibile fra l'atto delle indagini preliminari - o anche dell'udienza preliminare - e la sua corrispondente valenza - salvo che si tratti di atto assunto utilizzando la procedura dell'incidente probatorio - e l'atto acquisito nel dibattimento fa sì che debba qualificarsi irripetibile l'atto dell'indagine non riproducibile attraverso i moduli acquisitivi propri del dibattimento - o dell'incidente probatorio).

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